mercoledì 1 febbraio 2012

“Atto finale - Flaubert”. Il male di vivere: le risposte su Wikipedia?

Un cielo stellato e lo schermo gigante di un computer:  in scena l’estremo sforzo dell’arte e dell’uomo di trovare un senso alla vita e di annientare la stupidità degli uomini. Con Attofinale – Flaubert, si chiude la trilogia sull’individuo sociale di Mario Perrotta. E si chiude con la messa in scena di un  sempreverde baudelairiano mal de vivre che si ripropone in veste contemporanea.

I due personaggi di Flaubert, Bouvard e Pécuchet, si trasformano in figure surreali, panciute, dal volto smaccatamente sbiancato dal cerone che si atteggiano ad attori di comiche del muto. Esuli volontari dalla stupidità del mondo si ritirano in uno spazio vuoto, indefinito, incorniciato da una luce bianca che li sospende nel tempo e nello spazio. Si lanciano nell’impresa impossibile di trovare un senso all’ esistenza. E lo fanno attraverso la tecnologia. In un mondo in cui ogni dubbio sembra trovare soluzione su internet, in cui anche la solitudine pare trovare rimedio attraverso un social network, Bouvard e Pécuchet si illudono di poter trovare sul web le risposte. La loro ricerca condotta con metodo scrupoloso e scientifico salta da un argomento all’altro sviscerando ogni moto dell’animo e cristallizzando qualsiasi sensazione in una definizione di Wikipedia .

Da subito lo spettacolo è un susseguirsi simmetrico di tentativi e fallimenti. Di entusiasmo e disillusione. E così i due, dopo una fiduciosa altalena di ricerche e di scoperte, devono prendere atto di volta in volta dello scollamento tra cose e parole, dell’impossibilità di una comunicazione diretta, dell’ immaterialità della fede, della relatività dell’essere, del piacere effimero del sesso e dell’amore carnale, dell’impotenza di fronte alla solitudine  e dell’ impossibilità persino di darsi la morte.

A fare da contraltare ai fallimenti dei due protagonisti, due personaggi speculari: Il muto e la muta. Capaci di comunicare pur senza usare le parole e di opporre alla pesantezza prosaica di Bouvard e Pécuchet la leggerezza della poesia, i due sviluppano una rete di azioni sceniche che scandiscono drammaturgicamente i vari segmenti della scrittura. Le variazioni Goldberg  suonate dal vivo dal muto (Mario Arcari) accompagnano tutti i tentativi falliti dei due protagonisti, opponendo così la bellezza poetica  all’ illusione cybernetica. Stessa funzione drammaturgica per la muta che canta Edith Piaf, una incantevole Paola Roscioli che esibisce  doti da mimo elegante e una voce delicatissima.

Il nodo cruciale dello spettacolo arriva quasi alla fine, quando si apre un varco tra le due coppie e tra i mondi di cui sono emblemi. Con una singolare recita del Canto Notturno di Leopardi, incorniciata da un cielo stellato che si riversa in  tutta la sala, Bouvard e Pecuchét riscoprono la bellezza della poesia individuando in essa una possibilità estrema di salvezza. Possibilità fallita. Nel mondo degli stupidi non c’è spazio per la poesia. I due protagonisti , stanchi, rimandano all’indomani le loro ricerche. Perché nella ricerca e nell’arte risiede l’ultimo baluardo della poesia.

Bravi Mario Perrotta e Lorenzo Ansaloni che hanno reso efficacemente il senso clownesco e la goffaggine grottesca  dei due personaggi  pur restando per la maggior parte del tempo seduti. Geniale la scelta di un tono generale polifonico che alterna momenti drammatici ad altri più scanzonati. Esteticamente piacevole anche l’impasto vocale formato dalla croccante parlata leccese, dal pastoso bolognese e dal fluttuante francese della Roscioli. Nel complesso, un lavoro ben riuscito, che ha concluso degnamente la trilogia valsa a Perrotta il premio speciale Ubu 2011.

Rossella Menna

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