I due personaggi di Flaubert, Bouvard e Pécuchet, si
trasformano in figure surreali, panciute, dal volto smaccatamente sbiancato dal
cerone che si atteggiano ad attori di comiche del muto. Esuli volontari dalla stupidità del mondo si
ritirano in uno spazio vuoto, indefinito, incorniciato da una luce bianca che
li sospende nel tempo e nello spazio. Si lanciano nell’impresa impossibile di
trovare un senso all’ esistenza. E lo fanno attraverso la tecnologia. In un
mondo in cui ogni dubbio sembra trovare soluzione su internet, in cui anche la
solitudine pare trovare rimedio attraverso un social network, Bouvard e
Pécuchet si illudono di poter trovare sul web le risposte. La loro ricerca
condotta con metodo scrupoloso e scientifico salta da un argomento all’altro
sviscerando ogni moto dell’animo e cristallizzando qualsiasi sensazione in una
definizione di Wikipedia .
Da subito lo spettacolo è un susseguirsi simmetrico
di tentativi e fallimenti. Di entusiasmo e disillusione. E così i due, dopo una fiduciosa altalena di
ricerche e di scoperte, devono prendere atto di volta in volta dello
scollamento tra cose e parole, dell’impossibilità di una comunicazione diretta,
dell’ immaterialità della fede, della relatività dell’essere, del piacere
effimero del sesso e dell’amore carnale, dell’impotenza di fronte alla
solitudine e dell’ impossibilità persino
di darsi la morte.
A fare da contraltare ai fallimenti dei due
protagonisti, due personaggi speculari: Il muto e la muta. Capaci di comunicare
pur senza usare le parole e di opporre alla pesantezza prosaica di Bouvard e
Pécuchet la leggerezza della poesia, i due sviluppano una rete di azioni
sceniche che scandiscono drammaturgicamente i vari segmenti della scrittura. Le
variazioni Goldberg suonate dal vivo dal muto (Mario Arcari)
accompagnano tutti i tentativi falliti dei due protagonisti, opponendo così la
bellezza poetica all’ illusione
cybernetica. Stessa funzione drammaturgica per la muta che canta Edith Piaf,
una incantevole Paola Roscioli che esibisce
doti da mimo elegante e una voce delicatissima.
Il nodo cruciale dello spettacolo arriva quasi alla
fine, quando si apre un varco tra le due coppie e tra i mondi di cui sono
emblemi. Con una singolare recita del Canto
Notturno di Leopardi, incorniciata da un cielo stellato che si riversa
in tutta la sala, Bouvard e Pecuchét
riscoprono la bellezza della poesia individuando in essa una possibilità
estrema di salvezza. Possibilità fallita. Nel mondo degli stupidi non c’è
spazio per la poesia. I due protagonisti , stanchi, rimandano all’indomani le
loro ricerche. Perché nella ricerca e nell’arte risiede l’ultimo baluardo della
poesia.
Bravi Mario Perrotta e Lorenzo Ansaloni che hanno
reso efficacemente il senso clownesco e la goffaggine grottesca dei due personaggi pur restando per la maggior parte del tempo
seduti. Geniale la scelta di un tono generale polifonico che alterna momenti
drammatici ad altri più scanzonati. Esteticamente piacevole anche l’impasto
vocale formato dalla croccante parlata leccese, dal pastoso bolognese e dal
fluttuante francese della Roscioli. Nel complesso, un lavoro ben riuscito, che ha concluso
degnamente la trilogia valsa a Perrotta il premio speciale Ubu 2011.
Rossella
Menna
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