Bologna 7 aprile 2011
Lucia Bellesi
Purtroppo, per problemi di orario, non ho potuto assistere all'intero incontro ma solamente ai primi momenti, perciò la mia osservazione sarà limitata all'impatto istantaneo che una grandiosa attrice mi ha regalato.
Donna multietnica, sì, Vanda Monaco è una persona ricca di molteplici lingue e tradizioni, un insieme di diverse conoscenze teatrali che, nel corso del suo studio, si sono ampliate e continuano ancora ad evadere e ad espandersi.
La lingua è sicuramente il campo di indagine più studiato e, con essa, il suono delle vocali e delle consonanti: le prime, sentite in maniera forte nella lingua italiana, le seconde, marcate nella lingua svedese; un attento studio unito all'uso del corpo, in un rapporto che non è mai fisso, ma mutevole e trasformabile, grazie al quale si creano nuovi personaggi e nuovi “spostamenti” dei personaggi.
Il suo lavoro quindi si divide in diverse terre, inizia in Italia, il suo paese natio, per poi scoprire la Svezia, dove per anni porta avanti quest'idea di multietnicità con la fondazione del Tensta Teater Ensemble, una compagnia formata da attori professionisti provenienti da ogni parte del mondo ed ora varca l'oceano fino agli Stati Uniti in cui la sua ricerca invade il settore scientifico delle neuroscienze. Beh, che dire? Una donna che ama la curiosità, ama la scoperta e ama l'originale.
La sua originalità, per riprendere quest'ultimo termine, riecheggia anche nella sua figura, una figura che fortemente mi ha ricordato i personaggi della Commedia dell'Arte, i movimenti ampi, una forte mimica facciale quasi da essere paragonata, in alcune pose, a quella di una maschera, uno sguardo deciso e diretto. Decisamente una donna di grande effetto.
Yiyi Liu
E’ molto interessante sentire parlare delle influenze delle lingue nel teatro da Vanda Monaco Westerståhl. “A poco a poco si è formata la consapevolezza che non c’è la lingua, ma ci sono le lingue dei testi. In ogni testo la lingua assume suoni diversi.””Scoprire la propria voce, scoprire i ritmi del respiro e le loro infinite variazioni, scoprire il proprio corpo nei suoi suoni e nel suo parlare… ecco tutto questo amplia e approfondisce una conoscenza di se stessi nella prospettiva del lavoro per la scena.” [1] Comunque la voce non riesce ad essere sentita da nessuno testo, per cui gli attori non hanno mai interpretato il Don Giovanni uguale dallo stesso testo. In quale modo si recita una frase, come si controllano i ritmi, gli accenti… tutto dipende dagli attori diversi.
Nel Don Giovanni, la voce di Vanda Monaco Westerståhl è musicale. Il successo del travestimento deve essere attributo alla sua performance invece la sua voce secondo me non ha bosogno di essere cambiata perchè non è mai stata molto “femminile”. Lo sguardo seducente e i gesti avidi sono gli elementi principali per realizzare questo simbolo di frivolezza, essendo un contrasto con l’icona della femminilità dalle due giapponesi. Peccato che noi non capiamo la lingua svedese però penso che non sia una cosa del tutto negativa perchè così possiamo essere attenti agli altri elementi della scena.
P. s. Per l’ultimo momento di questo incontro – Attore e neuroscienze. Un piccolo esperimento, con Vanda Monaco Westerståhl e Wenting Yang – ho avuto l’incarico di scegliere alcune battute dalla Tre Sorelle di Anton Cechov che ho comunicato alle attrici sul momento. Ho scelto le ultime battute del dramma, pronunciate da Irina e Olga.
Lavinia Morisco
Sembrava una maschera della commedia dell’arte Vanda Monaco Westerståhl nell’ultimo incontro previsto da La Soffitta 2011 sul tema: Attrici in personaggi maschili.
Quando inizia a parlare di sé, l’attrice “bilingue” – recita in italiano e in svedese – ha un atteggiamento e una postura teatrali assolutamente spontanee. Addirittura si rifiuta di parlare al microfono: la sua voce arriva al pubblico naturalmente. Quando le si pongono delle domande l’artista dà risposte essenziali, schematiche. Non costruisce lunghi racconti intorno alla sua carriera.
Nel primo punto affrontato nel corso dell’incontro, la prof. Mariani la interroga sul personaggio del Don Giovanni da lei interpretato in Svezia. Le chiede di soffermarsi sul tema dell’eros, del piacere. Ebbene questo tema non ha nulla a che vedere per l’artista con la scena della seduzione di Zerlina: è Vanda Monaco stessa a sentirsi sedotta, ma dalle musiche di Mozart. La fonte del piacere è esclusivamente la musica. Qui si riafferma la sua attrazione per il suono prima che per i personaggi. Quando legge un testo, le interessano le sonorità della lingua. E’ per questo che adora la lingua svedese: le permette di porre e concentrare l’impatto emotivo sulle consonanti.
Ad un certo punto hanno inizio gli “spostamenti” di Vanda Monaco. Quando interpreta un ruolo teatrale l’attrice si “sposta”, non si traveste. Questo termine potrebbe trovare una spiegazione in un’affermazione dell’attrice: “Il personaggio nasce sulla scena, non esiste prima”. La creazione dei suoi personaggi non ha niente a che vedere con la psicologia, non c’è niente di interiore, niente di pensato: è lo spostamento sulla scena il punto di partenza del personaggio, la sua formazione coincide con il processo delle prove. Tutto questo fa pensare che nell’arte attoriale della Monaco non ci sia nulla di metafisico, nulla di concettuale, piuttosto qualcosa che ha a che fare con la pratica. Perciò non deve stupirci quando afferma che al sapere della conoscenza, l’attore deve accostare il “sapere della concretezza”. La Westerståhl è un esempio emblematico di questo accostamento: è anche dramaturg, drammaturga, regista e saggista. Forse quando Fabio Acca le domanda come faccia a dissociarsi nelle sue identità plurime, lei la sua risposta l’ha già data precedentemente in maniera implicita: il personaggio si fa sulla scena, quindi la componente teorica dell’attrice prevale quando non è sulla scena. Ma la parola attore non racchiude nel suo stesso appellativo il significato di azione? L’attore è colui che agisce sulla scena. Capiamo bene che Vanda Monaco è una perfetta donna di teatro.
A questo punto l’attrice si “sposta” e diventa Andrea: indossa un cappellino con la visiera portato a rovescio, è di spalle al pubblico. Inizia a recitare un frammento tratto dallo spettacolo Fuori dal paradiso, esibendo un passaggio naturale dalla lingua italiana allo svedese. L’esibizione è sensazionale, ma piuttosto fredda, distaccata, non trasmette emozioni. Vanda Monaco è tecnica, essenziale, ma paradossalmente naturale.
Poi esce di scena e dopo poco si “sposta” in Luigi Da Ponte: recita un frammento tratto da un altro spettacolo, Colore di Carne. Qui Vanda diventa “un vero uomo”: si sistema del gel tra i capelli facendo una smorfia tipicamente maschile di fronte a uno specchio immaginario. Sorseggia una birra direttamente dalla bottiglia e parla del mondo di oggi, un mondo di ingiustizie e di assurdità. E’ un parlare per “mostrare” e non per “dimostrare” qualcosa, dichiara. Mostrare la degradazione dei corpi femminili nella società odierna. Questa volta l’attrice ha il microfono: fa sentire tutte le inflessioni vocali, i cambiamenti di tono, le intensità poste su alcune parole. E’ un monologo molto comunicativo, cattura l’attenzione, è intenso, è sentito. Vanda qui risulta meno fredda, è assolutamente dentro la parte e trasmette emozioni.
Nel terzo “spostamento” indossa una maschera nera, curva la schiena e entra in scena Pulcinella il bastardo. E’ il monologo dei mandarini, tratto dallo spettacolo Pulcinella è un bastardo! La maschera della commedia dell’arte viene catapultata nella Napoli contemporanea e fa emergere la perversione maschile.
L’incontro si conclude con un piccolo esperimento: applicare le neuroscienze ad un frammento tratto dal testo teatrale Le tre sorelle di Cechov. Qui la Westerståhl è affiancata da Wenting Yang con cui collabora su un progetto che ha l’intento di verificare quali apporti possono dare le neuroscienze al teatro. Le due attrici leggono individualmente le rispettive parti dal testo di Cechov, poi le leggono ad alta voce al pubblico. Infine, si lanciano uno sguardo di intesa e l’esperimento ha inizio: sembra un esercizio di improvvisazione su un testo. Ma in realtà si tratta di qualcosa di più: associare colori, suoni e movimenti ad un testo teatrale. Queste associazioni non sono legate alle vicende personali delle due attrici. Vanda Monaco tende a precisare che, ad ogni recita, nell’attore cambiano completamente i meccanismi neurobiologici, afferma: “le sinapsi si addestrano a spostarsi”.
A questo punto ci si deve domandare: l’esperimento è riuscito? A mio parere sì. Ma si è trattato più di un percorso interiore delle due attrici, mentre ciò che si vedeva dall’esterno non era molto diverso da una recitazione improvvisata.
Le due attrici escono di scena, si siedono. Alcuni non riescono a capire cosa c’entrino le neuroscienze con la loro esibizione. Altri invece hanno capito l’esperimento a pieno. Forse il percorso con le neuroscienze è solo all’inizio, ma personalmente trovo l’idea della Monaco molto interessante e da sviluppare ulteriormente. Afferma la Westerståhl: “le neuroscienze offrono strumenti per capire meglio cosa facciamo”. L’incontro de La Soffitta si conclude qui, ma non quello con le neuroscienze. Aspettiamo e stiamo a vedere quali sorprese ci riserva questo progetto.
Chiara Pesce
Nell’ambito della rassegna tenutasi ai laboratori DMS Attrici in personaggi maschili, Vanda Monaco ha chiuso il cerchio delle tre attrici intervistate dopo Ida Marinelli ed Ermanna Montanari, prestandosi all’intervista in cui ha parlato del suo percorso professionale. Vanda Monaco è un’attrice dall’identità composita e multietnica e la sua carriera è costellata da personaggi maschili. Il suo percorso ha radici lontane nel tempo ed è caratterizzato dal nomadismo. Attrice eclettica, prima allieva di Gian Maria Volonté e poi di Erland Josephson, oltre a quello di attrice ha praticato i mestieri di drammaturga, saggista, autrice drammatica, regista e dramaturg. È stato molto interessante ascoltare dalle parole di Vanda Monaco, definita da Meldolesi “donna teatro” che cosa ha significato per lei interpretare personaggi maschili. Poiché ha praticato sulla scena molti mestieri, ha più registri linguistici: uno legato alla pratica teatrale, quindi un linguaggio molto concreto basato su esempi ed esperimenti, e un altro più legato al suo lavoro si saggista e storica che la colloca nella generazione dei grandi studiosi di teatro come Meldolesi, Cruciani e Taviani.In apertura dell’incontro abbiamo visto alcune parti del video sul Don Giovanni da Da Ponte, spettacolo presentato in Svezia, con la compagnia Tensta Teater, in cui Vanda Monaco interpretava il protagonista. Nell’interpretazione di questo ruolo si pone come non mai il quesito su come un’attrice possa incarnare un ruolo tradizionalmente maschile come Don Giovanni.
Vanda Monaco, come da tradizione svedese, concepisce l’arte dell’attore come mestiere della metamorfosi e il teatro come luogo della trasformazione, ma non definisce i suoi ruoli maschili travestimenti, bensì spostamenti. L’attrice ha una grande esperienza di recitazione in Svezia dove, trasferitasi per amore ha fondato il Tensta Teater, una compagnia composta di attori professionisti provenienti da tutto il mondo. Cominciando l’intervista Vanda Monaco spiega che è necessario distinguere l’occhio dello spettatore dal sentire dell’attore che incarna il personaggio. Poiché l’attrice ha un processo di pensiero diverso rispetto a chi guarda. Non si sente “in bilico” tra il suo essere donna e l’interpretare un uomo, nel caso di Don Giovanni, poiché lo affronta dal punto di vista concreto del gesto e della parola, mentre chi guarda, può farsi una sua idea che si costruisce attraverso un altro processo, che ha meno del concreto da cui l’attore non può mai prescindere. Vanda Monaco nel suo processo di ricerca del personaggio non parte da nessun assunto dato per scontato e segue le sue fascinazioni nel costruirlo. Nella sua interpretazione Don Giovanni è un conoscitore della sensualità femminile, ma ciò non comporta che l’attrice sia partita da questo elemento per dargli corpo; la caratteristica che ai nostri occhi può apparire predominante fa parte di una costellazione di elementi uniti insieme nel corpo e nella voce dell’attore, il quale però può essere partito da tutt’altro per incarnare la sensualità.
È l’occhio dello spettatore quindi che crea il travestimento, mentre per l’attore si tratta di un lavoro minuzioso sul suo corpo, lo spettatore vi costruisce sopra un significato che però è di altra natura rispetto al materiale che ha usato l’attore, forse quindi è lecito affermare che Vanda Monaco non si sia mai travestita in scena, ma che partendo da un livello di espressività neutro si avvicini al personaggio senza idee preliminari, ma reinventandone un’identità. In questo modo l'attrice si forma di spettacolo in spettacolo e il suo sapere si condensa e sedimenta attraverso l'esperienza della creazione scenica come afferma lei stessa: “Il modo in cui lavoro con gli attori è dettato di volta in volta dall'evento scenico che voglio costruire e non da una pratica che lo precede”.
Un‘altra riflessione che ha attraversato tutto l’incontro ha messo al centro la lingua svedese, definita da Vanda Monaco come una “lingua dalla straordinaria bellezza teatrale” per sua natura. Oltre ad avere sperimentato questa lingua come attrice Vanda Monaco l’ha sperimentata anche nel suo lavoro di drammaturga. Riflettendo sulla teatralità della lingua svedese rispetto a quella italiana, adatta invece al canto lirico, si è aperta una riflessione sul ruolo del testo. Vanda Monaco attraverso lo studio dello svedese ha riscoperto la necessità della parola e del testo che dia corpo e ritmo alla recitazione, attraverso le sue pause e i suoi suoni, e che non la limiti. Negli ultimi venti anni del ‘900 si è diffuso un teatro che ha accantonato i testi per indagare il corpo o per sconfinare nelle arti visive. Vanda Monaco nel suo percorso di attrice ha sentito, una volta a contatto con lo svedese, la necessità di parole da inscrivere nel corpo, soprattutto di suoni attraverso i quali ampliare le capacità espressive della voce e dell’attore, poiché la voce è espressione del delicato e mutevole equilibrio tra la mente e il corpo. Trovando nello svedese una lingua ideale.
Come scrittrice di drammi, ma anche come interprete ha avuto sempre interesse per la degradazione sia maschile sia femminile. A proposito di questo tema Vanda Monaco durante l’incontro ha recitato una parte tratta da Colore di carne, lungo monologo da lei scritto che racconta la giornata di un inquietante pittore. Questa pièce è prova della sua costante ricerca verso l’altro da sé e il diverso, non soltanto perché il personaggio che interpreta è di sesso maschile, ma perché incarna un modo di vivere ai margini della società. Infatti, Vanda Monaco negli anni ha dimostrato un interesse costante verso la rappresentazione dei“confini”, non solo della società, ma anche della mente dell’uomo, luoghi in cui un essere umano può trovarsi nel corso della vita. Oggi si occupa a New York come art producer di un esperimento su attore e neuroscienze.Dato l’eclettismo di quest’attrice e i suoi molteplici interessi approfonditi nel corso degli anni, l’unica costante che si può rinvenire nel suo lavoro è “il mutamento”, che, per tornare al tema degli incontri, è la sostanza del travestimento: il saper mutare personaggio senza avvertire distanza incarnando panni maschili è forse la prerogativa di un’attrice che vede nel teatro, come nella sua vita, il mutamento come un cardine.
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