Quella di fare largo ai giovani sembra corrispondere a una necessità piuttosto diffusa del teatro di oggi, soprattutto nella nostra regione...
Io sui giovani ho delle idee precise e in controtendenza in quanto mi irrita la demagogia giovanilistica di cui tutti, a partire dalle istituzioni, dalla politica e anche dall'università, ci stiamo riempiendo la bocca in questo periodo. Spesso diventa una retorica che si rivela non produttiva e inutile e rischia di coprire i veri problemi del teatro.
Però sia il titolo, Una Soffitta per i Giovani, sia il programma presentato sembrano smentire questa sua affermazione...
Ci sono varie questioni da chiarire relative al centro. La Soffitta, come centro del dipartimento, si rivolge principalmente ai giovani in qualità di fruitori delle attività in programma e non protagonisti. Vengono proposte occasioni fondamentali per arricchire l'offerta formativa di chi vuole specializzarsi nel campo delle performing arts. In questo mondo dei “tutti celebri per quindici minuti”, l'università non può dimenticare una cosa fondamentale: la formazione adeguata. Inoltre, La Soffitta non è uno spazio in cui i nostri studenti lavorano e si mettono alla prova. Abbiamo dei docenti che pensano a questo organizzando laboratori pratici, tant'è che nella nostra tradizione c'è sempre stata la figura del regista-docente, da Squarzina a Picchi a Gozzi a Scabia e Claudio Longhi, che salutiamo perchè appena tornato a tempo pieno tra di noi.
La Soffitta e anche il Cimes, che tra l'altro ha una vocazione laboratoriale e pratica ancora più accentuata, offrono soprattutto occasioni di conoscenza e di incontro con artisti di altissimo livello, organizzando seminari teorici e brevissimi workshop in aggiunta alla visione degli spettacoli.
E riguardo la giovane età degli artisti in programma?
La Soffitta ha sempre fatto la politica dei giovani artisti, con un occhio alla qualità, cercando di offrire sempre il meglio di quello che c'è in circolazione. È evidente che noi dobbiamo svecchiare e dare spazio ai giovani artisti meritevoli che hanno difficoltà a trovarlo. Quest'anno sono quasi tutti artisti under 40, che oggi sono ritenuti giovani, under 35 e under 30, oggi ritenuti “bambini”. Quindi sì, assoluto spazio ai giovani meritevoli ma tenendo sempre a mente cos'è La Soffitta, centro di promozione teatrale, cinematografico e musicale.
Che però non si rivolge solo agli studenti, anzi, sembra attivare un pubblico più vasto di quello studentesco...
Questo fa sicuramente piacere e la dice lunga sul fatto che è diventata un punto di riferimento, una realtà teatrale radicata nel territorio, a cui gli altri teatri guardano e a cui guarda anche un pubblico non universitario.
Sicuramente fa molto il fatto che, rispetto alla rete teatrale locale, La Soffitta ha proposto una stagione spavalda, dimostrando che oltre alle parole ci possono essere i fatti, sempre di qualità. Non crede?
Da anni, purtroppo, il mio giudizio sulla scena teatrale bolognese è severo e critico ma è anche vero che l'offerta cittadina va valutata nel contesto regionale, evitando una visione municipalistica e chiusa. È evidente che da anni a Bologna si sente la mancanza di grosse presenze internazionali o di un festival che si aggiungesse a Santarcangelo o a Vie di Modena o quello del Lenz a Parma. La nostra regione, l'Emilia Romagna felix, è piena di teatro di altissimo livello, anche internazionale, e sarebbe giusto che Bologna entrasse nel circuito regionale. Ronchi, però, ha intrapreso un discorso sulla fusione tra lo Stabile di Bologna e l'Ert, cosa molto complicata da fare, con tutti i giochi di potere che vi sono implicati.
Certamente sarebbe una bella iniziativa, considerando il fatto che le distanze tra Bologna e Modena sono ridicole...
Infatti è altrettanto ridicolo non trovare punti di collaborazione. Si potrebbe pensare ad un'area metropolitana unica con iniziative teatrali integrate. Si urterebbe, però, la suscettibilità delle rendite di potere e di posizione. La Soffitta ha svolto un po' questa funzione con alcune realtà, tra cui l'Arena del Sole e Teatri di Vita, nonostante le difficoltà economiche che li ha sempre coinvolti, ma anche con realtà più piccole che hanno una funzione fondamentale come il Ridotto di Lavino di Mezzo, nella nostra periferia, o come il Dom di Bruna Gambarelli al Pilastro, realtà a cui bisognerebbe dare più ossigeno.
Collaborazioni che dimostrano, come dicevamo prima, che La Soffitta è entrata pienamente nella rete locale dei teatri...
Esatto ed evidentemente diamo quel tono e quella vivacità teatrale che un pochino manca alla città. Questa è una di quelle funzioni che ci fa pensare che La Soffitta potrà sopravvivere ai ridimensionamenti che sono all'orizzonte e alle riduzioni economiche che annualmente ci sono. Io ogni anno inizio la conferenza stampa con delle note pessimistiche sulle possibilità economiche dell'anno successivo ma oramai non mi crede più nessuno perchè finora siamo sempre riusciti a presentare un programma ricco.
Sarà così anche nei prossimi anni?
Non so. Purtroppo già il prossimo anno dovremmo fare qualche ridimensionamento ma sempre lavorando al meglio e con un programma qualificato, cercando di non snaturare quelli che sono i nostri obiettivi e la nostra identità.
Questa è la ventiquattresima stagione de La Soffitta: cosa vi portate dietro dalle precedenti?
Oramai La Soffitta può parlare di sue tradizioni. Noi, fin dall'inizio, abbiamo dato spazio a filoni e zone del lavoro teatrale più marginali. Ad esempio il filone del teatro in carcere – pochissimi lo facevano e ancora meno se ne parlava – o il teatro di interazione sociale, per citare Meldolesi. Oggi di questi progetti se ne occupa Cristina Valenti che, in qualche modo, rappresenta la tradizione meldolesiana della Soffitta, così come si occupa della rassegna biennale Interscenario, oggi alla terza edizione, legata al Premio Scenario.
Abbiamo poi il filone dei libri, oggetto fondamentale della cultura teatrale, scritti sia da gente di teatro sia da studiosi della materia, che ci consentono di riflettere sulle questioni teatrali.
Un altro filone che manteniamo da sempre è quello dei convegni e quest'anno c'è quello dedicato a Franco Quadri, curato da Massimo Marino.
Da sempre, inoltre, abbiamo dato spazio ai gruppi teatrali della regione e quest'anno salutiamo il grande ritorno della Valdoca, grazie all'aiuto indispensabile dato dall'Arena del Sole.
Cosa è cambiato, invece, rispetto al passato?
Rispetto ai primi anni abbiamo sicuramente intensificato le relazioni con i teatri, soprattutto da quando sono diventato responsabile del centro, e poi il pluralismo. Non abbiamo mai proposto un'unica tendenza, in quanto siamo tenuti ad essere un osservatorio tout-cour permanente sul territorio e sulla nuova scena. Quest'anno andiamo dalla sperimentazione dei Menoventi ad un teatro più tradizionale, d'autore e di testo come quello di Viviana Piccolo per esempio, con situazioni intermedie quali Lorenzo Gleijeses e i burattini di Borisov che sarà una sorpresa per tutti.
In vista delle difficoltà economiche che colpiranno il centro, su cosa si potrà scommettere, oltre al pluralismo e ai giovani?
Io non so come andrà a finire. Stiamo già parlando dei ridimensionamenti con Giuseppina La Face, anche in vista del prossimo accorpamento del nostro dipartimento con quello di arti visive. Diventeremo il Davipem, dipartimento arti visive performative e mediali. E in una fase come questa è necessario andare con i piedi di piombo, bisognerà vedere quali tipi di contraccolpi ci saranno sulle attività dei due centri.
Si ha già un'idea di quanto sarà grande la contrazione della programmazione?
Io spero non sia eccessivamente severa, almeno non tale da snaturarci. È evidente che se passassimo da una decina di progetti come quest'anno a eventuali due o tre sarebbe un problema, pur facendoli più corposi ciò implicherebbe delle scelte più severe e dolorose.
Ma la cosa accadrà solo in parte per ragioni economiche. Purtroppo si stanno sfilando le fondazioni che davano un piccolo aiuto – il maggiore lo dà l'ateneo – ma efficace. Ci sono delle questioni di politica universitaria che in un momento delicato come l'aggregazione ci consiglieranno forse di avere un profilo un po' più basso, ma spero non eccessivamente. Io resto ottimista, anche perchè i rapporti con gli organi di ateneo sono ottimi e il direttore di dipartimento mi è sempre stato a fianco e difeso quando era necessario, perchè in tempo di crisi tutti i dipartimenti combattono per mantenere un livello degno delle proprie attività.
A questo, immagino, si aggiunga anche un certo snobismo da parte della politica...
Esatto, bisogna combattere anche contro una certa ignoranza, o malafede, che riguarda spesso le istituzioni politiche.
Per esempio?
Beh, dispiace quando un assessore alla cultura, in un intervista a un quotidiano, parla della Soffitta come di un luogo che, facendo attività universitaria, andrebbe riempita di contenuti. Ciò dimostra il fatto che parlano senza rendersi conto che i contenuti ci sono e si ottengono con sacrifici di tutti, senza dover necessariamente aspettare l'intervento della politica, che comunque ci sostiene con contributi indispensabili e spero ci sosterrà sempre di più.
Ha mai pensato di creare una rete o un sistema di studenti volontari che operassero nella gestione o nell'organizzazione de La Soffitta come avviene per il Biografilm?
Qualcosa in questo senso si fa attraverso le centocinquanta ore e il tirocinio. Sicuramente la cosa potrebbe essere intensificata, anche per garantire maggiori possibilità per gli studenti di fare esperienze pratiche nel campo dell'organizzazione. Sicuramente questo sarebbe nel nostro interesse in quante dareste una mano non indifferente, e sicuramente si dovrebbe iniziare a far circolare maggior informazione a riguardo, in primis nei siti del dipartimento e della magistrale che stiamo allestendo.
Carolina Ciccarelli
Selene Venticinque
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