La magia del mai visto libera gli occhi
dello spettatore più disattento, del ragazzo più annoiato, del critico più
fossilizzato e gli regala un nuovo ordine di cose… una meraviglia che per un
paio d’ore gli fa dimenticare il tempo che scorre e lo inchioda a uno schermo
dove rivivono - udite udite! -immagini in bianco e nero. Se questa non è
meraviglia dell’arte, di certo è un piccolo miracolo nell’era del 3D e dell’iPad.
Non ci si poteva aspettare di più da L’Orizzonte
dipinto, un film del 1941 con la regia di Guido Salvini e la
partecipazione di attori come Ermete
Zacconi, Paolo Stoppa , Renzo Ricci, Memo Benassi, Cesco Baseggio: un cast spettacolare
che raccoglie i più grandi attori di
fine ‘800 inizio ‘900.
Il 25 novembre in via Azzo Gardino viene
proiettato davanti a una platea del tutto sprovvista della benché minima conoscenza
del film poiché la pellicola, data da tempo per scomparsa, è stata da poco ritrovata
grazie all’interesse e alle ricerche svolte da Gerardo Guccini e Michele Canosa. A colmare le giustificabili
lacune sono intervenute tre autorevoli voci da tempo care al CIMES: Gerardo
Guccini, responsabile scientifico CIMES e professore associato dell’Università
di Bologna, Paola Bignami, professore associato presso l’Università di Bologna
e Paolo Puppa, ordinario di Storia del teatro e dello spettacolo alla Facoltà di
Lingue e Letterature straniere presso l’università di Venezia.
La trama è presentata dal prof.Guccini
che introduce sin da subito la centralità che svolge il teatro in essa. La
storia articola un discorso sul teatro che, per la sua complessità e la
particolarità dei suoi sviluppi, ha bisogno della giusta chiave di lettura. Una
breve panoramica sull’attività del regista ci consente di conoscere meglio il
nipote del celebre attore Tommaso Salvini nonché personaggio di punta nel rinnovamento
teatrale italiano. Regista a tutto tondo dal mondo lirico, dove imprime novità
al repertorio rossiniano, a quello pirandelliano, insegnante di regia all’Accademia
di arte drammatica Silvio D’Amico, non è alla sua prima regia cinematografica.
Nel 1937 dirige La regina della Scala
dove vengono mostrate le prove del Nerone
di Mascagni, l’opera preferita dal regime fascista.
Amore per la musica e coraggio nel
muoversi controtendenza si ritrovano, invece, nel film del ’41, dove l’arte è
rappresentata come fatica, fallimento, addirittura morte. Quest’ultimo aspetto
vive nella tragica vicenda del personaggio di Laura Adami la quale, morendo tra
il silenzio dei suoi colleghi e il delirio della scena, si sacrifica per il
teatro e sottolinea i risvolti tragici riconosciuti dal film come alla base del
vivere nel teatro.
La trama ruota attorno alle vicende
della giovane Nora e del suo percorso che la porterà a vivere tutte le tappe
della carriera attoriale: da voce di Giulietta in un carretto di burattini ad
anima e corpo della stessa in un grande teatro Milanese. Ma la sua carriera è
fatta di simboli: dalla “Chimera”, che la trascinerà, con l’omonima compagnia,
nell’arte che regala sogni per poi tradirli, al burattinaio, interpretato da
Benassi, famoso compagno in scena della Duse e legato a un teatro senza luogo,
poetico, irreale. Non è un caso se Guccini ricorda la citazione della Duse
riportata da D’Amico nel suo Tramonto del
grande attore: “Per riformare il teatro bisognerebbe bruciarlo”. E non è un
caso se ciò succede, nel film, per una disattenzione della giovane Nora. Non
dimentichiamo la presenza nel film del teatro del grande attore: la voce
drammatica di Enzo Ricci che viene sentita dalla giovane Nora mentre recita
l’Amleto, l’ “ocialetto” che il grande Ermete Zacconi regala alla giovane
delusa sono tutti segni di una sensibilità artistica, di una magnificenza
intramontabile.
Dall’alto dei suoi studi sulla scenografia e
sul costume teatrale, la prof.ssa Bignami ci guida alla scoperta delle scene ne
L’orizzonte dipinto attraverso
bozzetti e immagini di Aldo Calvo, scenografo famoso per il suo binomio con
Salvini e qui ritrovato, secondo una tesi avanzata dalla stessa, come
costumista: dalla sua esperienza nel teatro nazionale brasiliano fino all’ Aida del ‘49 sceneggiata in occasione
della Biennale di Venezia, senza tralasciare la collaborazione ne La regina della Scala, Calvo si dimostra
un ottimo scenografo sia nell’opera che nel teatro di prosa, soprattutto negli
interni e nelle scene veristiche
nonostante pecchi
nell’innovazione. Nel film la realtà si riverbera nel teatro: il teatro è lo
spazio del vero descritto in ogni suo aspetto, persino nelle parti più nascoste
allo spettatore e i suoi palchetti diventano gli occhi che testimoniano la vittoria
della nostra Nora e della sua aspirazione… il
fuori, quello sì che è ricostruito, irreale.
Il mondo del teatro e le
sue gerarchie rivivono nei cappotti. Nella sua profonda analisi del costume, la
Bignami sottolinea la pelliccia del grande attore e il giacchetto della nuova
arrivata: il cappotto che identifica il grado dell’attore e lo copre dal freddo
della solitudine, del paese sconosciuto,
del pubblico invocato, della compagnia che rischia lo sfascio. Lo stesso
cappotto che, una volta perso il corpo da rivestire, viene poggiato sul
cassone. Il burattinaio non indossa un cappotto, lui che dà l’anima ai
burattini veste a righe: è la stoffa del diavolo che chiarisce quale fuoco arde
nella sua interiorità.
Dal regista e dallo sceneggiatore-costumista
all’attore il passo è breve: Cesco Baseggio non può rivivere che nella voce
ferma e calda di Paolo Puppa e nel suo suadente veneziano, regalandoci una
lettura del monologo di Shylock davvero indimenticabile. Il suo libro, Cesco Baseggio.Ritratto dell’ attore da
vecchio, pone l’accento sull’importanza della conquista del ruolo della
vecchiaia scenica da parte dell’attore. Baseggio interpreta Shylock in una riscrittura
in dialetto veneziano de Il mercante di
Venezia a soli ventinove anni e ne fa il suo autoritratto: il vizio e il
dolore sono espressioni di un interiorità corrotta dal gioco e dalla
prodigalità. Non ha maschera oltre le occhiaie e la schiena ricurva, le mani ad
artiglio e la erre moscia che caratterizza ancor di più il suo veneziano
rendono l’avaro ebreo di Baseggio una caricatura di se stesso. Una disperazione
che gli appartiene così come gli appartiene il personaggio. Non è comico, non è
tragico, ma è caratterista: è il tipico intellettuale da salotto pirandelliano,
il personaggio che non può vivere i sentimenti ma li commenta e critica. Ama i
soldi così come ama i giovinetti e vive una vita spericolata, fatta di ben 56
film (marchette per guadagnare, come li chiama lui) dove la sua vita singolare,
eccentrica impossessa i suoi personaggi, spesso militari. Ne L’orizzonte dipinto si riallaccia alla
dimensione della normalità. Sposato con la Gramatica (altra figura che richiama
in scena la Duse) forma la coppia che farà da esempio alla giovane ingenua,
trionfante alla morte della vecchia attrice.
In trepidante attesa del film, Puppa ci
stuzzica con frasi riprese dallo stesso, tra le quali è doveroso ricordare :
“sei un attrice, sei un soldato”pronunciata dal vecchio grande attore Zacconi
nel rinfrancare il cuore di Nora e “ l’arte non copia, l’arte inventa”, frase a
cui non bisogna aggiungere nulla. Ormai siamo pronti per questo viaggio, ormai
ci siamo.
Godiamoci
il buio della sala, il sipario si alza sul film
E non è un gioco di parole, ma la
descrizione dell’inizio di una delle storie più emozionanti orbitanti intorno al teatro.
Battute fresche, risate sane e emozioni come non ne vediamo più, attori
fantastici nell’interpretare un mondo alla deriva. Paolo Stoppa diverte con il
suo atteggiamento da attore navigato e amato, con il suo sdegno per i borghesi
che vogliono fare gli attori e le ragazze che non accettano le sue attenzioni, Renzo
Ricci ci ricorda come il grande attore è capace di piangere di ogni sua emozione
legata al teatro mentre il grande Ermete Zacconi è il vecchio attore che non
rinuncia a calcare le scene, per un ultima volta, e ascolta il pianto di una
giovane donna turbata dalla sua passione, Laura Adani, che santifica con il suo
estremo sacrificio la scena e abbandona nelle mani di Nora, interpretata da
Luisella Beghi, il giovane Massimo e il suo animo combattuto tra il caldo pasto
nella famiglia borghese e la fredda
minestra riscaldata degli alberghetti di provincia. E il carrozzone continua a
viaggiare, regalando sogni e infrangendoli, come Medusa che promette al suo
amore un matrimonio (ma sempre dopo il prossimo spettacolo!) quando davvero non
ci saranno più speranze. Quando davvero si avrà il coraggio di abbandonare... ed
ecco che arriva Milano, la città, e a portarli fin lì sono i celebri
“ocialetti”, amuleto capace di restituire gioie e speranze. E Giulietta,
finalmente, va in scena per davvero. Nella scena finale, tra i doppi
palcoscenici rotanti del grande Max Reinhardt ricordati qui da Salvini (più che
un regista, il promotore della tecnologia) abbiamo l’ultimo stacco sul mondo
del grande attore, sulla sua arte e il sacrificio che egli le dedica, poiché
“il teatro non è un posto a sedere, ma un apostolato tra la gente”.
E come ogni volta davanti al sipario
chiuso, ci vuole forza di volontà per alzarsi e rientrare nel mondo che ci
aspetta fuori. Per accettare un “FINE” che arriva a chiuderci l’Orizzonte.
Elvira Scorza
Salve,
RispondiEliminasto cercando da molto tempo un film che vidi in passato e penso proprio sia quello menzionato nel vostro articolo.
Sapreste dirmi se in una scena, forse quella finale: un uomo è di fronte a due specchi (o qualcosa di simile, stile Orson Welles)) a ed inizia a parlare con se stesso (ma come se fosse con altre due persone distinte), facendo riflessioni filosofiche.
Sapreste anche dirmi se "L'orizzonte dipinto" è stato trasmesso sulla Rai in questi ultimi anni?
Ringrazio veramente se potreste dare lume a questi miei ricordi.
Il film è: "L'innocente Casimiro" del 1945 con Macario e Sordi.
EliminaBuongiorno, sto facendo una ricerca sul film "Harlem" di cui Aldo Calvo curò i costumi su modelli di Vita Noberasko. Avete qualche indicazione su qualche fondo oppure suo erede o parente che potrebbe aver conservato della documentazione originale? Grazie.
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