La scena si tinge di rosso e lo spettatore diventa subito
consapevole che quello che sta per vedere non è un fedele allestimento del
dramma di Sofocle, bensì un qualcosa che va oltre il concetto stesso di
tragedia greca: il testo, le parole fanno da cornice a un discorso più concreto
in cui il corpo e la musica sono i protagonisti. Un'Antigone (Elena Bucci)
forse troppo matura compie i primi passi sul palcoscenico e sotto un fascio di
luce di un rosso acceso fa rabbrividire il pubblico con una danza che trasforma
il dolore, la tensione e l'amore dell'eroina greca in un movimento convulso e
caotico. La luce rossa sempre presente sul proscenio rende tangibile il sangue
dei caduti e in particolar modo del caduto Polinice, eroe e traditore della
patria, considerato dalla legge non
degno di un'adeguata sepoltura. Ma la nostra
protagonista tenterà di dare ugualmente
una tomba al fratello, andando verso la rovina.
Testimone della vicenda è il coro che scruta e commenta
tutto ciò che avviene sul palcoscenico, riprendendo alcuni elementi fondanti
della tragedia classica, quali la maschera e la sua funzione di giudice, e
inserendo ingredienti nuovi che restituiscono al prodotto finale la sua genuina
grecità, come l'accento marcatamente siciliano (considerata la lingua più
vicina al greco) del corifeo Daniela Alfonso. Anche il coro, come Antigone, si
esprime e interagisce con gli altri personaggi danzando in un'alternanza di
movimenti rallentati e altri più impetuosi. L'unico personaggio che non cede al
movimento del corpo è Creonte (Marco Sgrosso) tanto statico e immobile nelle
sue lente ed esasperanti passeggiate quanto deciso e irremovibile nelle sue
decisioni da tiranno. Lo spettatore giunge quindi alla consapevolezza che i
gesti e il corpo degli attori rappresentino più del semplice movimento e si
configurino come parte integrante e caratterizzazione del personaggio stesso.
La musica conduce il pubblico attraverso i vari momenti del dramma, rendendo tangibili le tensioni
che intercorrono tra i personaggi: dai brani hard-rock sui quali Antigone-Bucci
crea una danza angosciata e inquietante, alle più pacate melodie esotiche , un
po' hawaiane, che rimandano ai ricordi dolci e fanciulleschi di un'esistenza
maledetta.
Lo scontro tra legge dell'uomo e legge dello stato si
consuma sul palcoscenico del Teatro Testoni di Casalecchio senza l'affermazione
di un effettivo vincitore. Non c'è soluzione quindi. Questa sembra essere
l'effettiva conclusione di Sgrosso che insieme alla Bucci incarnano una dualità
sempre destinata alla sconfitta e al fallimento.
Il risultato di queste premesse si situa però su un altro
piano: i buoni propositi dei due protagonisti, nonchè ideatori del progetto Antigone,
non trovano una giusta concretizzazione nella loro messa in scena, lasciando
nello spettatore un senso di inappagamento, di mancato approfondimento delle
ben più profonde parti del dramma. Ciò che viene messo in scena sembra essere
un approssimativo e non ben definito tentativo di realizzare un lavoro più
complesso che pone le sue basi nell'esternazione fisica delle problematiche che
la tragedia di Sofocle propone. Il sacrificio dell'eroina greca si palesa senza
troppa convinzione lasciando lo spettatore disorientato, combattuto tra un
giudizio positivo sugli intenti dei registi e un giudizio meno lusinghiero
sull'esito finale.
Selene Venticinque
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