sabato 13 dicembre 2014

Le Sacre du Printemps (La sagra della Primavera) secondo Castellucci

Da qualche tempo a questa parte, forse dalla Tragedia Endogonidia, di cui si potrà riprendere il concetto base di elaborazione, si può affermare che la creazione artistica di Romeo Castellucci e della Socìetas Raffaello Sanzio proceda per endogenesi. Come viene spiegato nel foglio di sala, soprattutto Go down, Moses – la creazione di Castellucci nel quadro del Festival d’Automne che ha dedicato uno spazio d’onore all’artista italiano – sembra approfondire tematiche e immagini che il regista si porta appresso fin dal Velo nero del pastore.
Allo stesso modo Le sacre du Printemps facente parte della rassegna dà l’impressione di elaborare all’interno della sua stessa struttura questo concetto di endogenesi. A voler paragonare lo spettacolo a una visione filosofica – e chiunque segua anche superficialmente il percorso artistico e concettuale di Castellucci non potrà non essere stupito dalla vasta costellazione del corpus filofosico e teologico citata negli approfondimenti teorici dell’artista – esso potrebbe richiamare la struttura rigida tripartitica della dialettica hegeliana, ovvero Tesi, Antitesi e Sintesi. Del resto, forse è proprio questo eccessivo schematismo a fare di questa creazione una proposta interessante, ma minore nel percorso artistico castellucciano.
                Prima parte, dunque, o la Tesi: lo spettacolo si apre con l’ascolto nel buio della registrazione del famoso pezzo di Stravinskij che dà il titolo alla creazione, dopodiché la scena si rivela in tutta la sua nudità. L’assenza di performer o semplici esseri umani in tutta questa prima e lunga parte è emblematica. Il pubblico ha modo di osservare un complesso dispositivo di macchine che dall’alto scaricano polvere su tutto lo spazio scenico. La Tesi può dunque essere apprezzata quasi come un’opera astratta: lo spettatore si ritrova a contemplare e ammirare i movimenti delle macchine, la polvere che cade al ritmo della musica stravinskiana e le luci che sottolineano adeguatamente lo spostamento del dispositivo. In questa prima parte Castellucci sembra voler seguire le orme degli esperimenti avanguardisti più radicali, in cui l’elemento umano nel teatro viene abolito, in favore di una pura e ben temperata sinestesia di musiche e luci, grazie alla costruzione tecnologica, di Christian Schubert e L58, che diventa protagonista.

Caduta delle polveri durante l'inizio dello spettacolo

                Seconda parte o Antitesi: dopo aver dato modo allo spettatore di entrare in questo diverso modo di contemplazione, mentre Le Sacre sta per finire, un velo di tulle (alla maniera dei simbolisti) copre la scena. Possiamo intravedere dietro delle figure umane, con tute e maschere antigas, che riordinano la scena, togliendo la polvere e sistemandola in grandi contenitori. Sul velo di tulle delle scritte bianche spiegano in modo dettagliato e scientifico la composizione della polvere, ovvero residui di ossa animali, il loro funzionamento nell’agricoltura, e quanta polvere è stata usata per lo spettacolo, e a quanti animali equivale (75 bovini). Qualcuno nel pubblico successivamente interpreterà questo testo come una provocazione, altri come un messaggio vigoroso e polemico ambientalista. Personalmente, sulla base della mia sensibilità e (poca) conoscenza del lavoro di Castellucci, propendo innanzitutto a pensare che il messaggio sia volutamente ambiguo e che le varie possibilità d’interpretazione lasciate allo spettatore possano essere tutte egualmente giuste e sbagliate. Forse quello che il testo e lo spettacolo più in generale vogliono suggerire è che il sacrificio evocato nell’opera di Stravinskij nel nostro mondo contemporaneo non può più essere inteso nella sua eccezionale ritualità, bensì come una semplice e brutale pratica burocratica che nel sistema industriale attuale non può non essere espletata quotidianamente.
                Sintesi o coda dello spettacolo: la musica finisce, lasciando spazio a una composizione di Scott Gibbons. Il velo si apre, riusciamo a distinguere meglio gli uomini al lavoro. La scena ricorda così un vero e proprio macello – e del resto il Théâtre de la Villette si erge sulle rovine degli antichi macelli di Parigi – o evoca in modo più sinistro anche i campi di sterminio nazisti. Le due parti precedenti trovano dunque la sintesi in quest’ultima immagine del riordino del palco in cui la figura umana è ridotta a un mero servo di scena. Il pubblico può a questo punto decidere quando ritirarsi, perché lo spettacolo è già finito, lasciando volutamente domande in sospeso, tra le ceneri di uno spettacolo che si conclude senza concludere.

Visto alla Grande Halle de La Villette il 10 dicembre 2014

Fabio Raffo



martedì 2 dicembre 2014

Natura Dèi Teatri arriva alla diciannovesima edizione: per l’occasione, chiama a riflettere dieci produzioni internazionali sul linguaggio e sui suoi molteplici piani

Arrivato alla sua diciannovesima edizione, il festival parmense Natura Dèi Teatri, in programma dal 5 al 14 dicembre 2014 propone un calendario multiforme, animato da creazioni contemporanee di teatro, musica, danza, video e performance: in arrivo prime assolute e rarità internazionali con Scanner, Lenz Rifrazioni, Maguy Marin, Pieter Ampe, Paul Wirkus, Alessandro Berti, Via Negativa, Tim Spooner, Enrico Pitozzi e Andrea Azzali. Negli spazi post-industriali di Lenz Teatro a Parma, con due sconfinamenti performativi in un’importante chiesa storica nel centro della città, il festival propone dieci creazioni internazionali ispirate a I due piani, tema concettuale che, dopo Ovulo nel 2012 e Glorioso l’anno seguente, conclude il progetto triennale alimentato dalle suggestioni filosofiche di Gilles Deleuze «dieci declinazioni scenico-performative dell’identità duplice, stratificata, multipla del linguaggio», come spiegano i due direttori artistici Maria Federica Maestri e Francesco Pititto.



S’inizia con la prima presentazione assoluta di Verdi Re Lear - L’Opera che non c’è_Premessa dal Re Lear di Giuseppe Verdi, di cui esiste solo il libretto scritto da Somma con le correzioni dello stesso Verdi. Il progetto muove dall’indagine e dalla ricostruzione del desiderio verdiano, frammentato e incompiuto, per procedere a un’invenzione - ovvero a un “trovare investigando” - di un simulacro d’opera d’arte performativa e musicale che tragga dal Lear di Shakespeare e dal Lear di Verdi gli elementi fondamentali. Il progetto di Lenz Rifrazioni combina due presenze all’apparenza decisamente dissimili: il compositore elettronico inglese Robin Rimbaud aka Scanner e il Conservatorio Arrigo Boito di Parma. È un audace accostamento voluto da Maria Federica Maestri e Francesco Pititto «per sperimentare nuove forme d’intreccio creativo tra elementi che, nel caso unico della realizzazione di un’opera che non esiste, possono contribuire a dare forma e corpo a un progetto incompiuto ma potente».

Lenz Rifrazioni presenta inoltre, in prima nazionale, lo spettacolo Adelchi: il progetto biennale dedicato all’opera di Alessandro Manzoni prosegue con «una riflessione profonda sulla potenza poetica della tragedia» che vede in scena tre attori “sensibili” formati nel laboratorio permanente realizzato da Lenz Rifrazioni in collaborazione con l’Ausl di Parma – Dipartimento Assistenziale integrato di Salute Mentale: «In questo progetto scenico» spiegano i due direttori artistici «si sostanzia la ricerca pluriennale di un “verbo” pedagogico che renda le persone affette da disturbi dello spettro autistico in grado di esprimere le emozioni silenziate attraverso le stimolazioni drammaturgico-sensoriali dell’esperienza teatrale. Si ribalta la prospettiva dalla quale guardare alla sensibilità: gli apparenti limiti non sono più sintomi di un deficit patologico, ma divengono elementi da elaborare e tradurre in linguaggio estetico contemporaneo, attraverso il confronto e l’agone - anche fisico e vocale - con i classici».

La danza ha un ruolo importante: tra gli spettacoli in programma Maguy Marin, la più importante esponente della nouvelle danse francese, presenta a Natura Dèi Teatri il suo nuovo spettacolo Singspiele, creato in collaborazione con David Mambouch e Benjamin Lebreton. «Singspiele» racconta la coreografa «è un lavoro di ascolto dedicato ai volti: a ciò che questi volti ci dicono, precisamente o confusamente, dei loro corpi assenti: la storia particolare che portano con sé e che ci sfuggirà sempre». Inoltre, torna al Festival Pieter Ampe, con il suo primo solo, So you can feel, in prima nazionale.

Le prismatiche stratificazioni evocate dal nucleo concettuale I due piani si incarnano anche in Maestro Eckhart di Alessandro Berti, regista, attore e drammaturgo dal percorso eccentrico, da qualche anno approdato all’ascolto rigoroso, attraverso lo strumento-teatro, di voci della spiritualità cristiana.

Non mancano le interessanti collaborazioni: Hyperion | Diotima è l’ennesimo frutto inedito nato dalla cooperazione tra Lenz Rifrazioni e il musicista elettronico polacco Paul Wirkus; una creazione ispirata all’Hyperion di Friedrich Hölderlin, figura importante nel percorso artistico di Lenz Rifrazioni e il cui interesse oggi è rinnovato da questa perfomance ispirata a Diotima, figura tra le più complesse della mitografia hölderliniana. Inoltre, La slovena «piattaforma di ricerca, sviluppo e produzione di arti performative contemporanee» Via Negativa, inquieta formazione ospite di numerose edizioni di Natura Dèi Teatri, propone On the right track, un surreale e sorprendente «cabaret dell’assurdità politica».

E ancora, ibrida performance e arti visive The Telescope dell’inglese Tim Spooner, mentre fa interagire misure del materico e del trascendente il concerto Corpo sacro di Andrea Azzali_Monophon.

Lo studioso Enrico Pitozzi, infine, propone il seminario Magnitudini: una radiografia della materia sonora e un dialogo sul complesso percorso di Lenz Rifrazioni attorno a Re Lear.


Info Festival Natura Dèi Teatri
Lenz Teatro – Via Pasubio 3/e Parma
+ 39. 0521. 270141
info@lenzrifrazioni.it

www.lenzrifrazioni.it/natura