venerdì 8 aprile 2011

Dietro le quinte: dei momenti spettacolari

Abbiamo incontrato la professoressa Laura Mariani, che quest’anno per La Soffitta e per i suoi studenti, ha organizzato una serie di incontri a tema Attrici in personaggi maschili-tre incontri con momenti spettacolari, che hanno come protagoniste tre affermate facce da palcoscenico: Ida Marinelli, Ermanna Montanari e Wanda Monaco Westerstahl. 
Appena arrivati nel suo studio notiamo il suo enorme sorriso: si vede che le piace proprio parlare dei suoi progetti! E allora cominciamo subito con le domande.

Che cosa sono le attrici in personaggi maschili? Ha scritto nell’introduzione che era partita dal concetto di attrici en travesti, però non è solo il travestimento che fa un personaggio.
Quello che registro io come spettatrice e come studiosa, è la sensazione che sia diventato impossibile parlare di travestimento al singolare. Nel senso che è tanto diffusa la pratica del travestimento teatrale, talmente interna al mestiere dell’attore, e a livello sociale è talmente diffusa la pratica del travestimento vestimentario, che mi sembra non si possa più parlare di attrici en travesti ma che si debba vedere questa pratica all’interno del lavoro sul personaggio, su quell’altro da sé che si è in scena, che lo si chiami personaggio, figura, o stato di coscienza come faceva Leo. È qualcosa che merita una riflessione particolare perché ci può dire molto del lavoro dell’attore, proprio perché c’è lo scarto tra il sesso dell’interprete e il sesso del personaggio.  Affrontare il tipo di lavoro che l’attrice fa per arrivare a questo altro da sé scenico mi sembra un buon canale per andare dentro quello che è in generale il mestiere dell’attore oggi.


Su questo tema sta facendo anche un laboratorio per la magistrale. C’è un motivo particolare per cui ha deciso di affrontare questo tema?
Intanto perché ho svolto un lavoro su questo e ho pubblicato un libro due anni fa, Sarah Bernhardt, Colette e l’arte del travestimento (Il Mulino), in cui affrontavo il tema nel teatro di fine ‘800 e primo ‘900; poi ho studiato un’attrice che si chiamava Giacinta Pezzana che nella seconda metà dell’800 interpretò il personaggio di Amleto prima di Sarah Bernhardt. Ho trovato che questo fenomeno nel teatro comincia evidentemente molto prima dell’800, ma sono stati studiati principalmente gli uomini in personaggi femminili e molto meno il contrario quindi ho voluto approfondire dal punto di vista storico. Già per quel libro avevo contattato alcune artiste che avevano interpretato personaggi maschili, da Franca Nuti negli spettacoli di Ronconi, alla stessa Ermanna Montanari che poi ho invitato anche in questi incontri, e mi è venuto il desiderio di fare di nuovo il punto su questa questione di cui mi ero occupata a livello storico, a partire dall’impressione che a livello teatrale il fenomeno fosse un po’ cambiato, con cambiamenti anche piccoli, ma che possono avere molta importanza sia per chi fa storia che per lo spettatore o la spettatrice. Mi sembra che ci sia uno scollarsi del tema dall’abito: mentre nell’800 veniva percepito come un tema legato innanzitutto e fortemente all’abito, oggi l’articolazione delle pratiche dell’attore e dell’attrice fanno qualche cosa di molto più ampio che il riferimento all’abito dell’altro sesso.

Di solito si pensa agli uomini che interpretano parti femminili, anche chi non è immerso nel mondo “storico” del teatro ne ha un’idea dal teatro greco o da quello elisabettiano, per fare gli esempi più famosi. Oltre alla società patriarcale in cui viviamo, perché la donna nei panni dell’uomo viene messa più in ombra?
Intanto c’è una grande ragione storica e l’ha detta lei stessa: l’esclusione delle donne dal palcoscenico per intere epoche storiche e per intere aree geografiche ha fatto sì che si sviluppasse una grande tradizione di ruoli femminili interpretati da uomini. Lo possiamo vedere nel teatro orientale, nell’attore giapponese che interpreta il ruolo femminile, l’onnagata, o nel ruolo tan del teatro cinese (entrambi ruoli con codificazioni precise), o se andiamo a guardare i boy actor shakespeariani. C’è una grande tradizione, l’uomo che sulla scena interpreta il personaggio femminile è nella storia del teatro. Tutto questo ha riscontri minori nella situazione inversa, anche se fin dall’ingresso delle donne nella Commedia dell’Arte le attrici hanno inserito nei loro repertori anche dei personaggi maschili come elemento di attrazione. 
Forse un altro motivo è che a certi livelli, senza mai generalizzare, il travestimento maschile è più facile perché accede alla cifra del comico e del grottesco: in quanti film comici c’è Totò che si traveste da donna, o Tognazzi, Vianello, o lo stesso Benigni che ne La vita è bella si mette la veste da donna nel lager nazista? C’è tutta una tradizione che ci dice che indossare l’abito femminile sembra più semplice, di effetto immediato. Il fatto che un’attrice interpreti un personaggio maschile è qualcosa di un pochino più sottile, un pochino più complesso, particolarmente oggi quando le pratiche vestimentarie fanno sì che noi donne ci vestiamo in pantaloni o completi da uomo. L’uomo che si veste da donna mette la gonna, il seno finto, usa un mascheramento molto evidente, per la donna è un po’ più difficile, si entra in un territorio meno diretto.

Ida Marinelli e Ermanna Montanari hanno alle spalle interpretazioni maschili senza travestimento molto efficaci. Della Marinelli lei ha citato nella presentazione degli incontri Doppio Senso, uno spettacolo di vari monologhi improntato sui movimenti più che sulle parole, e Angels in America, bestseller del teatro e della televisione americana. Qual è la bravura della Marinelli?
La cifra del travestimento, l’interpretazione di personaggi dell’altro sesso è molto presente nella storia del teatro dell’Elfo. La Marinelli l’ho chiamata soprattutto per Angels in America che lei interpreta in modo stupefacente cambiando più personaggi maschili e femminili in una successione. Mi è sembrato che ci fosse intanto questa dimensione meravigliosa della Commedia dell’Arte, quando il travestimento era sempre un travestimento multiplo (il travestimento dell’identità nazionale, dell’identità sessuale, dell’età, etc.), una moltiplicazione degli elementi di travestimento in cui lei dimostrava questa grandissima sapienza d’attrice nel creare figure maschili che sembravano molto truccate e invece, l’abbiamo visto nella dimostrazione, gli elementi erano pochissimi.  
La sua bravura, quella che mi viene in mente a caldo, è in questa capacità che la Marinelli ha di costruire un personaggio a partire da elementi minimi (un cambiamento dell’inclinazione della spina dorsale, un berretto, pochissimi elementi di cambiamento della figura scenica del personaggio) che poi riescono a ingigantirsi nella scena, per cui sembra molto più truccata, la postura sembra molto più elaborata, molto più artificiale di quello che è in realtà: è l’elemento del meraviglioso scenico che si produce attraverso la sapienza del dettaglio.

La Montanari che interpreta L’Avaro di Moliere, anche lei senza costume, dà l’impressione che Arpagone sia scardinato dalla sua identità sessuale per incarnare l’avarizia vera e propria. Sembra che la Montanari abbia annullato il sesso, invece di cambiarlo.
Ermanna Montanari ha affrontato questo personaggio maschile avendo in mente non tanto il sesso e quindi il fatto di assumere i panni maschili, ma si è misurata col tema dell’avarizia, cercando di creare un’icona dell’avaro, indipendentemente dal genere sessuale a cui appartiene. 
La cosa però sorprendente di questo avaro è il dualismo. È come se avessimo da una parte l’icona, questo aspetto per cui lei non imita il maschile ma lavora sull’immagine dell’avarizia, e dall’altra parte è come se questa figura, oltre ad avere la forza dell’astrazione e dell’iconicità, abbia anche la forza della carne: il legame con la cassetta, il legame con l’innamoramento per Mariana nella scena che diventa scena di masturbazione, questo rapporto col corpo così complesso. Da una parte l’avaro è come se fosse radicato dentro il corpo, perché la voce stenta a venir fuori, chiuso in sé stesso, come si vede nel manifesto alle mie spalle, con le radici che affondano nella terra. C’è da una parte l’icona dell’avaro e da una parte questo forte senso della carne da cui l’avarizia nasce. E poi viene anche fuori l’aspetto femminile dell’avarizia: tutto sommato, così come le donne sono legate alla loro casa, così come le donne tendono spesso ad avere un senso dei figli come loro proprietà, il fatto che sia Ermanna Montanari a interpretare il personaggio dell’avaro, indipendentemente dalla sua cifra completamente diversa, ci fa vedere che funziona un’icona dell’avarizia al femminile.

Wanda Monaco Westerstahl ha alle spalle l’interpretazione di Pulcinella, che più che un personaggio è una maschera, un carattere, dà quasi l’impressione di non avere un sesso specifico.
Pulcinella è tante cose, e il Pulcinella di Wanda Monaco è il Pulcinella seicentesco, casomai si rifà a quella matrice. Ma soprattutto il suo lavoro consiste nel buttare la maschera di Pulcinella nella contemporaneità, quindi dargli una fisicità, una corporeità e anche una sessualità molto legate al nostro presente, anche con tutte le sue perversioni. Adesso vedremo, l’incontro con Wanda si deve ancora svolgere, e sicuramente porremo l’accento su aspetti diversi. Ho invitato queste tre attrici così diverse tra loro anche perché mi interessa mostrare la pluralità degli approcci al personaggio maschile. Per quanto riguarda Wanda Monaco, vorrei mettere in luce alcuni suoi tratti di identità diversi, in particolare l’uso della maschera, o la molteplicità di personaggi maschili che ha interpretato rivendicando la parola “personaggio”, che vanno da Marino il poeta a Strindberg, a varie maschere (oltre Pulcinella ha interpretato anche Arlecchino o Pantalone).
Anche lei mette al centro l’importanza della voce come ha fatto già la Marinelli, com’è vero in modo esplosivo e centrale per Ermanna, e qui diventa un lavoro sulla voce che parte dalla lingua, perché Wanda lavora sul napoletano, l’italiano e lo svedese; e sul rapporto con la scrittura, perché lei è anche autrice, quindi vuol dire anche dar voce a personaggi che sono maschili sulla carta. Che cosa significa passare poi dalla carta alla scena, dallo scrivere all’incarnare?



Aspettiamo di incontrare Wanda Monaco Westerstahl per provare a sciogliere questa domanda. Intanto ringraziamo la professoressa Mariani per averci concesso questa intervista con il sorriso, e per averci immerso un po’ di più nel mondo e nel lavoro delle attrici e degli attori.
Elena Grimaldi

Nessun commento:

Posta un commento