sabato 2 aprile 2011

Città di Ebla: tutto il sacro di un corpo

Quante e quali parole servono per raccontare l'Essenza? Osservare, sezionare, analizzare il sacro che giace su un freddo lettino anatomico, sotto lo sguardo attento e critico della ragione. Armati di pregiudizi, corazzati di dottrina: appuntare le impressioni, le ipotesi, le supposizioni per poi capire che nessuna parola è sufficientemente piena di senso. Sperimentare l’impotenza della lingua di fronte all’immensa cattedrale dei segni, dei gesti e dei respiri. Non rimane, allora, che procedere a ritroso, cancellare tutte le parole, azzerare un sistema troppo rumoroso e troppo complicato che impedisce di riconoscere, di capire e di ritornare alle origini del sacro. Seguire la direzione che ci conduce verso un suono vago e indistinto. Poi, silenzio.
La Compagnia Città di Ebla, di Forlì, ha portato in scena, ai Laboratori DMS di via Azzo Gardino, 65/a di Bologna, la quinta e ultima tappa di un progetto teatrale che la ha visti impegnata dal 2006 al 2008: Pharmakos – Movimento V – Anatomia del sacro.

Antefatto al progetto
Città di Ebla nasce nel 2004 da Claudio Angelini (regista), Valentina Bravetti (attrice), Davide Fabbri (musicista), Elisa Gandini (performer) e Thomas Lombardi (supporto tecnico). È un gruppo di Forlì che si pone nel panorama teatrale contemporaneo come compagnia di ricerca e d’avanguardia. Si sono ispirati per il loro nome alla “grande civiltà proto-siriana di Ebla, città-stato che già nel III millennio a.C. vantava importanti conoscenze nel campo della scrittura, della struttura societaria, dell'utilizzo dei materiali e dell'arte”. Dal 2006 sono impegnati in un progetto di spettacoli, cinque pezzi un unico corpo, cinque movimenti un’unica sinfonia: Pharmakos.

 “All’epoca in cui compariva in teatro Edipo (V sec. a.C.) esisteva ancora un rituale antichissimo di indubbia derivazione orientale: il Pharmakos. Ogni anno la comunità ateniese sceglieva uno dei suoi membri marginali, afflitto da deformazioni fisiche o psichiche, e lo metteva al bando, accompagnandolo in processione alle porte della città affinché con lui venisse espulso l’insieme delle contaminazioni presenti nel gruppo sociale”
(J.P. Vernant, L’uomo greco)



“Il Pharmakos  - spiega la compagnia sul sito web (http://www.cittadiebla.com/Pharmakos) - deve attirare su di sé tutta la violenza malefica per trasformarla, con la propria morte, in violenza benefica, pace e fecondità. In greco classico la parola che ne deriva, pharmakon, significa al contempo male e rimedio, veleno e antidoto, in una fase arcaica in cui le cose sacre contenevano il puro e l'impuro come varietà del medesimo genere”.

Così comincia un percorso teatrale, suddiviso in movimenti, nati in tempi e occasioni diverse:

-Pharmakos Embrione
Evento Ipercorpo, settembre 2006 (Forlì)
-Pharmakos Movimento II Atto barbaro 
Evento Ipercorpo, ottobre 2007 (Forlì)
  -Pharmakos Movimento III Orizzonti del campo 
Itinerario Festival, giugno 2007 (Cesena)
-Pharmakos Movimento IV Corporis fabrica 
Festival Anomalie, maggio 2007 (Roma)
-Pharmakos Movimento V Anatomia del sacro 
produzione per Fabbrica Europa, 2008 (Firenze)


Movimento V
 In Anatomia del sacro, ultima parte di Pharmakos inserito nel programma della Soffitta 2011, tutto si svolge attorno a un lettino da autopsia, rivestito di piccole mattonelle quadrate, bianche. Giace su di esso un corpo inerme interamente coperto da un lenzuolo bianco. Di fronte, su di una grande lavagna, una donna vestita di nero, abbottonata fino al collo, con uno chignon, concentrata e molto tesa, scrive freneticamente impressioni sul quel cadavere: osserva e appunta, analizza e segna. Ma man mano che l’esperimento  continua, il corpo sul lettino, che prima giaceva apparentemente privo di vita, comincia a muoversi e a scoprirsi.
Compare una piccola donna nuda che si contorce sotto lo sguardo attento della scienziata e del pubblico; con continui spasmi si anima. Ed è qui che iniziano a mancare le parole, dinanzi a tanta bellezza la ragione si ferma. Non ha più idee da esprimere, cancella i vocaboli che non servono più per chiarire, ma a questo punto solo per confondere. La lavagna è sempre più vuota, tutte le certezze vengono meno, non si hanno più i termini per raccontare. Ci prova con altre lingue, con gereoglifici, con altri segni, ma niente da fare, il corpo-sacro parla da sé e solo guardandolo. I gesti, il sudore, dell’attrice diventano più eloquenti di mille congetture. È la vittoria dell’irrazionale sulla logica. Dentro i criteri del ragionevole l’immaterialità sfugge, rompe gli argini e trabocca. La mente è sconfitta, la pulsazione comincia a vivere. L’apollineo cede il passo al dionisiaco. La razionalità implode, il sacro indefinibile emerge.

La musica
Perché un progetto teatrale prende in prestito termini musicali per scandire gli episodi? Perché chiamare movimenti e non atti le tappe di questo percorso?
Perché della musica, Pharmakos, ha caratteristiche di forma e di sostanza. È formalmente una sinfonia, divisa quindi in movimenti; è sostanzialmente una partitura di gesti, di suoni, di scrittura e di luci. Il corpo di Valentina Bravetti, come uno strumento, esegue rigoroso le azioni; il suono elettronico, pensato e gestito da Elicheinfunzione, riempie la scena, aiuta a concentrare l’attenzione senza essere invasiva, è una forte presenza, ma senza soggiogare; la scrittura, testo che a mano a mano si distrugge, è curato da  Elisa Gandini; infine le luci che contribuiscono a creare l’amalgama sono ideate e realizzate da Claudio Angelini anche regista della compagnia.



Gran finale
“Siamo testimoni di un’epoca che ha ormai cancellato il senso profondo degli antichi riti, sparpagliandoli nell’esistenza, mistificandoli, annullando il concetto di pharmakos come significante bivalente, ‘male’ e ‘rimedio’ al contempo, e più in generale eliminando il senso delle cose ‘sacre’, pure ed impure come varietà del medesimo genere” (Claudio Angelini).

Quante e quali parole servono per raccontare l’Essenza? Nessuna. Silenzio. Buio. Fine.

Josella Calantropo

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