Alle spalle di Ermanna Montanari, l’icona misteriosa di un asino. Laura Mariani, curatrice del progetto “Attrici in personaggi maschili”, le chiede cosa significhi. Siamo nei laboratori DMS a Bologna, di fronte alla pluripremiata attrice romagnola Ermanna Montanari. Nel 1983 fonda il Teatro delle Albe, insieme a Marco Martinelli (suo marito e regista della compagnia), Luigi Dadina e Marcella Nonni. Nel 2007, 2009 e 2010 vince il premio Ubu come miglior attrice. Quest’anno sarà alla guida del Festival di Santarcangelo, dopo Chiara Guidi della Societas Raffaello Sanzio e Enrico Casagrande di Motus, ai quali è legata da una comunione di intenti riguardo la conduzione della manifestazione.
“L’asino è l’icona simbolo del Teatro delle Albe”, risponde, “L’idea è stata di Claudio Meldolesi”, docente del DAMS, scomparso di recente. “È stato il relatore della mia tesi e mi aveva consigliato i “Dialoghi filosofici” di Giordano Bruno. Protagonista un asino cillenico che ha fame di vita, di attraversare la vita. In seguito, in diversi spettacoli come “Siamo asini o pedanti”, “Inferno”, “Sogno di una notte di mezza estate” sono stata proprio io a vestire i panni di un asino.
La seconda domanda riguarda il modo in cui Ermanna Montanari plasma i suoi personaggi. “Parto dalla voce, che crea una sorta di spirale da pulire e formalizzare, per poi delineare le sfaccettature del personaggio stesso”. Infatti, nei suoi spettacoli, musica e canto hanno un ruolo fondamentale, tanto che alcune sue creazioni vocali sono depositate presso la SIAE. Inoltre, ci spiega di aver bisogno di personaggi dai confini non definiti e l’asinità è tutto ciò che slabbra i contorni, che è fuori dalla normalità, che è stonato.
L’ultimo spettacolo del Teatro delle Albe è “L’avaro” di Molière nel quale lei interpreta il protagonista maschile Arpagone. “Entro in scena con un vestito da uomo, ma come quello che può indossare una donna, dicendo di essere Arpagone”. È l’attrice che palesa la finzione della scena e che è il suo personaggio, indipendentemente dal fatto di essere una donna. In realtà non è esatto parlare di travestitismo, ma di lavoro attorale. “Arpagone è interpretato da una donna perché l’uomo innamorato, lui lo è del suo denaro e di una donna, si femminilizza. Inoltre ha la volontà, tutta femminile, di controllare la sua casa e i familiari. Questo aspetto è reso evidente dal fatto che i membri della sua famiglia hanno abiti fatti con la stessa stoffa della tappezzeria di casa”. Il microfono che usa Arpagone è la sua arma di potere, al posto del bastone. Ma il microfono è uno strumento che Ermanna Montanari utilizza da 10 anni, nel suo lavoro di ricerca estetica, sul suono della parola e non sul suo contenuto. “Ho avuto delle difficoltà all’inizio del lavoro sullo spettacolo, mi sentivo goffa e non riuscivo a trovare una chiave che mi permettesse di interpretare il mio personaggio. L’idea dell’uso del microfono come scettro ha fatto scattare qualcosa, mi ha permesso di andare avanti. Ho deciso di togliere la voce ad Arpagone, facendolo diventare afono, in modo da privarlo della carnalità, del corpo, perché lui è freddo,artificioso, arido, falso, porta la morte.”
Durante l’incontro Ermanna Montanari si è rivelata un’attrice magnetica, suscitando l’interesse dei numerosi studenti presenti, che hanno affollato anche il teatro di via Azzo Gardino per le due repliche dello spettacolo “Ouverture Alcina” (di cui la Montanari era protagonista) il 10 e 11 marzo.
Mariangela Basile
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