Il teatro Elisabettiano con i suoi effeminati ragazzini impegnati ad interpretare la Giulietta shakespeariana, la commedia dell’arte con la divina Isabella Andreini che con la sua recitazione eclettica era capace di passare dal ruolo dell’eterea innamorata a quella del rude guerriero, fino alle mitiche avventure teatrali di Sarah Bernhardt che, in pieno ottocento, si proponeva al pubblico nelle vesti di Amleto e di Giasone e che si diceva amante dei personaggi “in-sessuati” nei quali il contenuto tragico bruciava il genere sessuale. Queste le immagini, evocate dal professor de Marinis, che hanno introdotto il primo incontro della rassegna seminariale curata dalla professoressa Laura Mariani intitolata Attrici in personaggi maschili. Prima protagonista è stata l’affascinante Ida Marinelli. Prontamente Laura Mariani ha spiegato perché non si sia usata la locuzione “en-travesti” per delineare la forma degli incontri. Ha pertanto chiarito come il travestimento potesse essere inteso, secondo canoni attoriali squisitamente ottocenteschi e dunque tradizionali, un elemento teatrale atto ha mettere in luce l’estro androgino, ilare e in sostanza “altro” dell’interprete. L’attualità del mondo teatrale ha scardinato questa visione proponendo un’idea di maschile e femminile come costrutti culturali imprescindibili e dai confini mobili e non ben definiti. Posta così la questione in essere si è lasciata la parola ad Ida Marinelli.
Le riflessioni ed i momenti di vera e propria esibizione e dimostrazione che ne sono conseguiti hanno guidato l’intero assunto in maniera esaustiva. Innanzitutto si è ridiscussa la messa in scena, ad opera della compagnia dell’Elfo (di cui la Marinelli è co-fondatrice), dello spettacolo Doppio Senso datato 1987. Un lavoro assolutamente sperimentale in cui la Marinelli portando sulla scena un estratto della Elettra di Euripide, ne interpretava contemporaneamente l’eroina tragica e il fratello di costei il giovane Oreste. Con un taglio di capelli cortissimo (alla Duran-Duran) l’attrice faceva affiorare, dall’animo della tormentata Elettra la nostalgia per il fratello perduto e dalla figura di Oreste un gelido disincanto. In questo spettacolo si operava, allora, una sottrazione alla persona per il ruolo, e si eliminavano tutti gli orpelli del travestimento. In secondo luogo si è posto l’accento sulla questione della vocalità, come qualità personalissima dell'interprete: affinata (con gli estenuanti studi presso il conservatorio e poi presso il coro dell’Arena di Verona) e poi utilizzata ed esibita. Il lavoro sulla voce è stato di particolare interesse in tutta l’esperienza professionale della Marinelli che ne ha indagato, approfonditamente, le modulazioni che potevano permettere a un timbro vocale di aumentare le proprie possibilità espressive; rintracciando, infine, quelle modalità utili a assumere la consapevolezza di come un determinato suono deve essere emesso. Necessario, per giungere a esso, è stato un lungo lavoro di training vocale, che ha visto come maestri ed ispiratori dell'attrice, Iva Formigoni e Demetrio Stratos.
La voce deve, comunque, sempre essere in sintonia con l’apparenza che si è assunta; dunque non può essere scissa dalla coscienza del proprio corpo e delle linee che esso disegna nel momento in cui si muove sulla scena. È su quest’ultima osservazione che l’attrice si immerge nella vivida rielaborazione di alcuni personaggi maschili, estratti dallo spettacolo Angels in America di Tony Kushner. Così, con una gestualità e una vocalità tra il caratteriale e il caricaturale e con l’ausilio di pochi semplici accessori d’abbigliamento (i più evidenti erano dei baffi posticci e una cuffia camuffa capelli), rivivono incredibilmente dinnanzi agli occhi stupiti degli astanti l’anziano e ciondolante rabbino Chemelwitz e il mite Henry il medico del perfido avvocato Roy Cohn. Ai contributi video è lasciato invece il personaggio di Prepsalarianov il più vecchio bolscevico del mondo; la sua effige appare all’inizio dello spettacolo come proiezione cinematografica su una bandiera rossa, e la Marinelli lo rende secondo degli aspetti fortemente stereotipi ma mai banali.
Ultimo atto dell’incontro un breve excursus sui personaggi femminili che hanno segnato in positivo la carriera dell’interprete. Sono ancora ricordi su supporti audio a guidarci. E così l’elegante e sofisticata Petra Von Kant (con la figura sinuosa inguainata in un luccicante tubino di paillette dorate, e il cui atteggiamento è modellato sul raffinatissimo Paolo Poli en-travesti dello spettacolo televisivo Tabarin) ne Le amare lacrime di Petra Von Kant di Fassbinder e la Divina cantante d’Opera (che per esibirsi nel ruolo mozartiano di Regina della notte, veste un sontuoso abito guarnito di mantello nero e corona d’argento simile a quello della Grimilde disneyana) ne L’ignorante e il folle di Thomas Bernhard fanno affiorare la teoria, che la donna sul palcoscenico appaia molto più travestita dell’uomo.
Enrico Rosolino
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