Una trama di parole e musica per raccontare i sentimenti dell’uomo attraverso la lente di una delle vie del centro di Napoli più discusse e vissute. Questa è Toledo Suite, la stanza frammento della città, in cui Enzo Moscato ripercorre le diverse tinte delle emozioni degli esseri umani.
Lo spettacolo, in scena il 30 e 31 marzo presso l’Arena del Sole di Bologna, vede la presenza sul palco di due musicisti e del drammaturgo stesso, che qui veste i panni di autore, attore e cantante.
Moscato, capofila della nuova drammaturgia napoletana, ci conduce in un sentiero interiore fatto di sentimenti ed emozioni attraverso l’alternarsi di racconti e musica.
Lo spettatore è invitato a sbirciare nella Toledo Suite, una stanza delimitata da due tessuti semitrasparenti che separano lo spazio interno del palco dalla platea e che divengono schermi su cui proiettare i disegni di Mimmo Paladino. Questi veli circoscrivono il luogo della memoria e della riflessione, ma delimitano anche l’ambientazione delle storie che Moscato racconta: si tratta di via Toledo, celebre strada del centro di Napoli.
Storie di vita vissuta e crudele, di bordelli, di donne di malaffare si susseguono. La narrazione si costruisce come un tessuto sonoro in cui racconti in dialetto sono cuciti assieme a canzoni del repertorio napoletano, a brani di Brecht, di Viviani, di Duras, di Cohen e di altri ancora. Il dialetto si accosta alla lingua francese, a quella inglese, a quella tedesca e le contamina: esse appaiono intrise dell’accento di Moscato. Tutto si fa così partenopeo come i pomodori intrecciati attorno al leggio esposto in scena, simbolo della napoletanità.
Le tracce sottili dei disegni evocano le immagini tratteggiate dalle canzoni, un arco di lampadine colorate fa sorgere il ricordo dell’ingresso dei bordelli a Napoli: i segni sulla scena costituiscono un ordito di rimandi che talvolta si sommano divenendo sovrabbondanti. Perfino una bambina fa il suo ingresso sul palco e fa sorgere il dubbio che sia solo per strappare un applauso e un sorriso al pubblico in platea.
La musica arrangiata da Pasquale Scialò domina indiscussa la scena: è l’elemento migliore della rappresentazione, esalta il pathos, costruendo ponti tra le emozioni individuali e quelle stratificate nei muri di via Toledo. I sentimenti appaiono però tratteggiati con toni fin troppo accesi, quasi pop.
Sembra di vedere un quadro di Andy Warhol: la ricchezza della molteplicità dei punti di vista sull’oggetto viene schiacciata nella bidimensione dell’icona.
La città di Napoli subisce un’operazione di riduzione e concentrazione: tutti i suoi attributi sono esposti in bella mostra, il pathos trabocca. La sua immagine diviene icona, proprio come quelle immaginette dei santi in rosso e oro che proteggono gli automobilisti dai cruscotti delle loro vetture.
Anna Parisi
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