Conception e mise en scène Pippo Delbono
Questo spettacolo è concepito come una lettura-concerto, accompagnata dall’esecuzione trascinante del violinista Alexander Balanescu e intervallata a tratti da momenti più cabarettistici. Questi ultimi non possono essere che definiti tristi, e probabilmente questo effetto è provocatoriamente voluto: esemplari le due barzellette non sense, di cui quella raccontata da Delbono ha anche uno sfondo lievemente antiebraico. Alcuni ricordi più intimi di Delbono, del periodo dell’infanzia, intervengono nello spettacolo, e introducono per esempio una dolce ninna nanna. Sono per lo più momenti di pausa che spezzano bruscamente l’atmosfera altrimenti poetica della rappresentazione, dovuta soprattutto alle intense emozioni del lacerante accompagnamento musicale. Pippo Delbono legge suoi testi che hanno un buon valore evocativo, insieme a una poesia di Pier Paolo Pasolini, una di Eliot e un estratto di Per farla finita con il giudizio di Dio di Antonin Artaud. Ora, quest’ultima scelta suona un po’ superficiale perché, visto il francese maccheronico di Delbono, egli sceglie giustamente di affidarsi alla traduzione italiana. Ma leggere la traduzione italiana di un testo poetico francese a un pubblico francese non è un’idea molto felice… Per il resto, la lettura di Delbono è disarmonica. Ha accenti molto giusti e intensi, soprattutto quando passa dal parlato al grido cantato, e anche se non possiede una tecnica canora propriamente professionale, riesce a trovare un’intesa con il violino di Balanescu, tanto che in quei momenti, e più in generale, non sappiamo se sia Balanescu ad accompagnare Delbono, o piuttosto il contrario, con un sostanziale risaltare del violinista rispetto al lettore. Se il suono della musica raggiunge la disarmonia, producendo l’angoscia, la disarmonia prodotta dalla lettura a tratti sopra le righe e fumettistica di Delbono provoca solo un imbarazzante sconcerto. Delbono strafà, ricordando in questi momenti più le abilità di un doppiatore di cartoni animati che quelle di un abile lettore di poesie. Soprattutto stonano brutalmente i suoi tentativi grossolani di ballo mentre Balanescu suona e qui non può fare a meno di ricordare l’orso Yoghi nelle sue movenze totalmente scoordinate. È un peccato che queste vistose sbavature rovinino la bellezza di certi passi poetici, e soprattutto la qualità della musica di Balanescu, che rappresenta l’àncora di salvezza di uno spettacolo altrimenti non adeguato al festival In di Avignone.
In scena a Opéra Théâtre
Fabio Raffo
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