lunedì 8 luglio 2013

Sguardo sul festival di Avignone 2013 | Giorno II (6 luglio)

Orlando
Mise en scène Guy Cassiers


Il palco appare alquanto spoglio, tranne uno schermo frontale con immagini che sono riflesse anche per terra, formando un mosaico-puzzle che cambierà nel corso dell’allestimento. Due comodini inoltre fungono da supporto per l’attrice-adattatrice di Orlando, Katelijne Damen (anche costumista): in essi trova l’acqua da bere nei momenti indispensabili, per lei e per gli spettatori, di pausa nel testo, per subito riprendere con rinnovato vigore. Infatti la Damen sostiene integralmente da sola per tutto lo spettacolo il testo di Virginia Woolf, con una forte ma allo stesso tempo dolce energia. Non vi è incarnazione del personaggio, ma il testo viene narrato come un canto epico molto intimo. Il fraseggiato olandese e i pochi ma determinanti e significanti gesti dell’attrice, hanno per gran parte il merito di trasmettere in maniera commovente la bellezza poetica di Orlando. La stessa funzione assolve con minuzioso scrupolo il delicato accompagnamento musicale, una musica da camera classica, o accenni di arie da opere, o anche il vento burrascoso delle traversate marittime. E lo schermo, unico supporto di arricchimento scenico, ci offre delle composizioni suggestive, le carte geografiche dei viaggi di Orlando, o ancora dei dettagli rilevanti come la mano o il volto ingrandito della Damen, con un sapiente uso delle tecniche cinematografiche. Il viaggio di Orlando è dunque accompagnato in questa dolcezza mai ridondante fino alla fine, più intima, quando lentamente cala la luce e l’attrice si raccoglie in posizione fetale. Dolce, e indimenticabile.

In scena all’Opéra-Théâtre.


Par les villages
Mise en scène Stanislas Nordey

Stanislas Nordey, regista associato, insieme a Dieudonné Niangouna, dell’edizione 2013 del festival di Avignone, sceglie di allestire alla Cour d’honneur del Palazzo dei papi Par les villages di Peter Handke. Si tratta di un testo alquanto ostico già alla lettura, dal respiro più poetico che strettamente teatrale, in quanto composto principalmente di lunghi monologhi che descrivono stati emozionali e propongono una ricca composizione della scrittura, più che una vera azione narrativa e teatrale. La sfida dunque è difficile, e non sembra totalmente riuscita, anzi. La ricca energia di certi attori (tra cui una buona menzione merita lo stesso Nordey), mostrata nell’enfasi del gesto (a volte forse ridondante), o la modulazione variegata della dizione e dei toni usati nella recitazione, non riescono a tenere sulla lunga durata dello spettacolo (dalle iniziali tre ore e mezzo previste sono arrivati a ben quattro ore e mezzo!). Il pubblico è messo a dura prova e non resiste: chi va via prima della fine dello spettacolo, chi resta in paziente attesa, un po’ smanioso di fischiare, un po’ sbuffando. Il monologo finale, durato da solo più di mezz’ora, recitato in maniera totalmente monocorde, frontalmente al pubblico e per di più con le mani nelle tasche (!!!) dall’attrice che recita Nova (Anne Mercier), è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il che è un peccato, perché fino alla fine del primo atto erano comunque ben visibili l’amore e la dedizione esibiti nei confronti del testo. Una condiscendenza alla poesia che ha limitato un po’ i mezzi scenici: nel primo atto viene mostrato il cantiere con cinque prefabbricati blu (un’immagine un po’ stereotipata), dopo la pausa i cinque fabbricati vengono girati e disposti a scudo, in modo da esibire degli alberi stilizzati che propongono l’atmosfera da cimitero. Un allestimento minimalista, che non sembra riuscire a sfruttare appieno le immense potenzialità della scena della Cour d’honneur. Una nota di merito va tuttavia riconosciuta all’accompagnamento musicale, una coinvolgente chitarra elettrica, la cui ombra gigantesca svettava a tratti sul muro della corte, grazie ad un sapiente gioco di illuminotecnica.

In scena alla Cour d’honneur du Palais des papes.
Fabio Raffo

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