Mise en scène Julien Gosselin
Il giovane regista Julien Gosselin (26 anni) mette in scena, con la compagnia Si vous pouviez léchez mon cœur, il famoso (o famigerato?) testo di Michel Houellebecq Les particules élémentaires, che alla sua uscita nel 1988 scatenò molte polemiche e controversie per il suo stile molto particolare. Non avendo letto il testo originale, un giudizio è sospeso, ma sarà possibile fare un confronto con l’adattamento filmico di Oskar Roehler. Il film epurava gli elementi più provocatori e scandalosi del libro, rivelandone uno sguardo sinceramente angosciato sulla società contemporanea, e producendo quindi un’opera dignitosa, anche se non del tutto insensibile ad alcuni dettagli perversi del testo originale, difficilmente cancellabili.
Nulla di tutto ciò nell’allestimento teatrale, anzi l’esatto contrario, purtroppo. Se il film epurava gli elementi provocatori, la regia di Gosselin ci sguazza letteralmente dentro, con compiaciuta ostentazione dei dettagli più macabri, più perversi nell’argomento principale e onnipresente del sesso. Questa compiacenza è sottolineata da una regia che non mostra direttamente il malfatto, ma peggio vi allude, vi ammicca, come ad esempio la descrizione delle torture degli snuff movie in un’accattivante atmosfera da concerto rock: esse dovrebbero dimostrare il loro «intrinseco» e «oggettivo» legame con i primi movimenti hippies anni Sessanta. Titoloni sullo schermo di sfondo, effetti speciali, fumogeni - luci e musiche dal gusto discotecaro (non mancano naturalmente seni e pettorali nudi, toccate insistenti sul membro maschili) - servono a catturare il pubblico come il miele con le mosche. D’altronde, come dice il testo compiaciuto, «les masses aiment les images du mal» (le masse amano l’immagine del male), e allora questo teatro, di cui la sola scusante sembra essere la giovane età del regista, sembra avere l’unica funzione di rendere ancora più sfavillante e seducente il lato oscuro e malato della nostra società. L’unico salvataggio offerto sarebbe quello di accettare un’evoluzione fisica necessaria, di diventare super uomini. Ed ecco quindi come un insopportabile discorso para-pseudo scientifico che vuole rifarsi magari a pensatori come Nietzsche, ma sembra più ispirarsi a scrittori come Dan Brown, è posto a salvezza messianica delle vite meschine che si agitano in scena. La soluzione proposta è dunque un’illusione, uno specchio per le allodole, per far accettare allo spettatore la natura intrinsecamente perversa e malvagia degli uomini. Non si spiega altrimenti la condanna ripetuta e ossessiva nel testo del movimento culturale degli anni Sessanta, il cui proposito utopico originale era precisamente cambiare l’uomo. Certo, un’utopia, ma il discorso pseudo scientifico new-age che propone il libro - sostanzialmente la necessità di modificare la natura del sesso, determinante della crisi del nostro sistema sociale-economico - è ancora più utopico e mai realmente serio nei suoi propositi. Rivela un cinismo di fondo profondamente reazionario e in realtà compiacente nei riguardi del sistema sociale e economico che finge di condannare. C’è da chiedersi come una proposta del genere, così ambigua e ammiccante a un’estetica profondamente commerciale, possa rientrare nel programma del festival In di Avignone.
In scena alla Salle de spectacle de Védène.
Fabio Raffo
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