Kabaret Warszawski
Conception e mise en scène Krzysztof Warlikowski
Il titolo dello spettacolo indica alquanto efficacemente la sua forma e concezione: ha un andamento assolutamente non lineare, proponendo delle scene che si collegano tra loro per via tematica, personaggi a volte ricorrenti, e il collante dell’immaginario visivo. Ciò è estremamente chiaro fin dall’inizio, dove sono proposte in versione parodica le conversazioni da cassetta audio per imparare l’Inglese. In realtà il tema di queste conversazioni, come poi tutto lo spettacolo, è il sesso, scandagliato nei suoi risvolti più scabrosi e provocanti. La descrizione del foglio di sala introduce lo spettacolo e informa che l’allestimento proporrà inizialmente un ambiente anni trenta della Germania nazista, per passare, dopo l’entracte, al mondo di oggi, post attacco Torri Gemelle. In effetti il primo atto propone quest’indagine in un’onnipresente visione decadente, anche se a tratti ludica, del sesso, cosicché sembra che questa difficoltà nel dialogo tra i corpi sia collegata a un momento infelice della nostra Storia. La presenza del Nazismo e di Hitler diventa sempre più incombente nei dialoghi e nell’immaginario della scena, fino a che il Führer appare fisicamente, una grottesca incarnazione che dirige tra le altre cose l’orchestra di accompagnamento per la cerimonia degli Oscar. Questo collegamento tra il passato e presente sembra far supporre la direzione che prenderà il secondo atto: una critica del sistema economico, sempre alla luce di un rapporto non risolto con il sesso. E invece no, il secondo atto si apre su un rapporto sessuale in una gabbia di vetro, e l’immaginario prende poi il sopravvento, tra la musica da concerto rock alla sinistra del palco, l’uso del video per ingrandire i rapporti morbosi e la lunga citazione di pezzi dei Radiohead interrotta a tratti dalla descrizione dell’attacco terroristico dell’undici settembre 2001. Dopo la distruzione, l’unica soluzione sembra essere il fumo collettivo di marijuana e di nuovo un finale debordante, tra musica, attori che uno a uno si buttano nella tomba portata precedentemente per la scena delle due torri, le paillette che cadono dal cielo e buttate poi sul pubblico. E poi ancora il presentatore androgino che sale in cielo trasformato da sirena, la donna in croce sul muro di sfondo che descrive l’orgasmo agognato finalmente raggiunto.
In sintesi la recitazione è ottima, eccezionale l’uso di video e luci, un po’ amorfo l’allestimento scenico, un semplice muro bianco che evoca un non luogo, forse una stazione di metropolitana. È da segnalare tuttavia una regia troppo divisa in due parti diseguali: la prima parte mantiene ancora una certa parvenza di trama, pur nel suo stile frammentario e surreale, ma sembra proporre un messaggio che va oltre la semplice imposizione di un immaginario scenico pur affascinante. Invece nel secondo atto questo immaginario prende il sopravvento e si perdono il debole messaggio iniziale e una certa coerenza dell’idea, pure nella sua forma cabarettistica. Non basta quindi far chiudere il secondo atto come si chiudeva il primo, con il lento abbassamento della luce sul volto di Hitler nel primo, su quello del presentatore androgino nel secondo. L’eccezionale performance degli attori e l’uso disinvolto dei video, della musica e delle luci, nonché il generale mondo visionario di alto livello di Warlikowski, non bastano ad allontanare una leggera noia per l’onnipresente, datato nella voglia di provocazione e quindi un po’ gratuito discorso-ostentazione del sesso.
In scena alla FabricA.
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