martedì 9 luglio 2013

Sguardo sul festival di Avignone 2013 | Giorno III (7 luglio)

Shéda
Conception e mise en scène Dieudonne Niangouna

Dieudonné Niangouna, secondo artista associato del festival di quest’anno, sceglie il suo testo Shéda per l’incantevole luogo della Carrière de Boulbon (un’ex-petraia allestita per la prima volta nel 1985 per il Mahabharata di Peter Brook). «Shéda» è una parola inventata, a metà tra «diavolo» e «truffa». Si trova dunque a sintetizzare piuttosto bene le impressioni ricevute da questo spettacolo. La scena appare infatti come un luogo immaginario, infernale, pieno di macchine astruse di un altrove o altroquando utopici. Un attore porta nell’arena una capra, mentre si cominciano a sentire le urla-richiami degli attori che arrivano dall’esterno: entrano, formano un cerchio magico, da guerra potremmo dire, urlano la parola «Shéda», e lo spettacolo ufficialmente inizia. Il testo scorre molto poeticamente da un attore all’altro per lo più in forma monologante, ma anche in versione di dialogo, mentre gli altri attori compiono azioni simboliche, prive di un preciso significato logico, sfruttando anche le costruzioni in scena. Evocano spesso giochi sportivi, o atletici – il loro è un teatro molto fisico – calciano  palloni verso il pubblico, salgono su un palo verticale, usano lo scivolo, nuotano in una pozza d’acqua e via dicendo. Da questo gioco continuo di azioni e dal testo che non ha un filo logico, si ha più l’impressione di assistere a una sessione di teatro-jazz (e infatti l’accompagnamento musicale in scena afferisce a questo genere), o appunto, a una bolgia infernale. «J’aime les incompréhensions du monde» (amo le incomprensioni del mondo), dice a un certo punto il testo scritto e diretto da Niaungouna. E in effetti, a cercare un filo logico nel testo e nell’allestimento dell’artista congolese, si rischia di rimanere delusi e infastiditi. Anche le rare tematiche politiche evocate - il colonialismo, la crisi finanziaria ecc.- sono in realtà un puro spunto ludico, un pretesto, e non devono quindi essere prese sul serio. Manca una necessità che non sia quella di sfogare un ego artistico, su un allestimento che oltretutto dura ben cinque lunghe ore. Peccato, perché forse il teatro potrebbe e dovrebbe avere una funzione più nobile, che il semplice collage di materiali magari anche molto godibili artisticamente, come in questo caso il testo, il jeu degli attori, la musica.

In scena alla Carrière de Boulbon.


Fabio Raffo

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