lunedì 7 novembre 2011

La dimostrazione di Nō del Maestro Umewaka al CIMES è una cascata di petali di fiori di ciliegio

Ascolta il rumore dei petali di un fiore di ciliegio che cadono al suolo, ascolta il rumore dei passi che cadono sul palcoscenico nudo. Ascolta il moto fra Est e Ovest, ascolta l’attore del Polo Sud mettendo da parte quello del Polo opposto.
Domenica 6 novembre: dimostrazione di Nō del Maestro Umewaka Naohiko, presso spazio – atelier di Teatrino Clandestino.
Un fiore raggiunge la massima bellezza un attimo prima che i petali inizino a cadere, un attimo prima della morte (Filosofia zen)
Per la filosofia zen ascoltare i petali di un fiore di ciliegio che cadono al suolo è uno dei più grandi godimenti estetici. La dimostrazione di Nō del Maestro Umewaka è, abusando di questa metafora, una cascata di petali di fiori di ciliegio. Ciò che essenzialmente ci attrae nella figura attoriale, in questo caso specifico nel Maestro, è il modo in cui quest’ultimo ri-modella artificialmente l’energia ricorrendo a un bios scenico, a “salti d’energia”.  Con la stessa minuziosità con cui si allestisce un rito propiziatorio, crea un’atmosfera di ombre e luci, di suoni riverberati, di passi trascinati, di pause e tonfi. Gli spettatori cercano un contatto carnale con il teatro Nō. Viene a crearsi un vero e proprio processo creativo, un legame ombelicale tra maestro e spettatore. Umewaka ci invita ad abbandonare ogni contatto con il mondo reale. Siamo sottoposti a un disorientamento volontario. Naufraghiamo. Scegliamo di essere naufraghi consapevoli. Uno spaesamento che ci ri-conduce alle origini e a verità dimenticate o sconosciute.
Si ricorda, prima dell’inizio effettivo della dimostrazione, lo spettacolo The Italian Restaurant, regia e testo di Umewaka Naohiko che andrà in scena giovedì 10 novembre alle h 21 ai Laboratori DMS via Azzo Gardino, 65 a, e che sarà aperto al pubblico.
In merito a questo, ci viene mostrata in anteprima una delle due maschere che il protagonista indosserà durante la messa in scena. È tipico l’uso della maschera per il teatro Nō. Una maschera, per natura fredda, diventa l’espressione dei sommovimenti dell’animo.
La dimostrazione a cui assistiamo si compone di due fasi: una dimostrazione sulle vocalizzazioni e una danza.
Si alza il sipario, si rompe la convenzionale quarta parete… Luce soffusa, ma non troppo. Un riflettore puntato in scena. Parte del pubblico siede a terra. Suoni, gorgheggi, a tratti melodia/canto, a tratti tonfi. Una spinta diaframmatica bassa per ottenere tutto ciò. Una partitura di suoni/rumori che evoca spazi e storie sepolte dalla memoria. Una orchestrazione di suoni che ci riconducono alla nostra origine, a una condizione fetale. L’aria densa si riempie di onde e vibrazioni, che vengono subito assorbite dagli spettatori. Ci sono un filo venoso, uno strato di tessuto corporeo, un tratto di intestino che legano il performer con lo spettatore. Si forma una triade indissolubile: performer-palcoscenico-spettatore. Il palcoscenico prende vita, diventa legno vitale, diventa albero, terra, muschio, foglie. Un uso studiato e strumentalizzato delle corde vocali suscita immagini visive, intere storie, drammi. Dalla voce si costruisce un vero e proprio spazio scenico.
Applausi scroscianti, rami che si muovono al vento. Piccola pausa e si comincia con la seconda parte della dimostrazione.Il Maestro diventa corpo-interprete, un corpo esecutore di gesti e ritmi extra-quotidiani. Un corpo vivo e vitale. L’obiettivo è eliminare gli automatismi della vita quotidiana ricorrendo ai “salti d’energia” che, in un secondo momento, si evolvono in “salti di pensiero”. Movimenti meccanici che tagliano il palcoscenico come nervi tesi. È puro dinamismo. È movimento frenetico che dai piedi percorre tutto il corpo. Piedi trascinati per attrito sul legno del palcoscenico che costruiscono geometrie ben precise. Nulla è lasciato al caso. Tutto è fermo. Tutto tace. Una pausa. Nulla accade, perché tutto è già accaduto.
Angela Grasso                         


Nessun commento:

Posta un commento