venerdì 18 novembre 2011

"Arte e salute" scuote le coscienze con Pinter

Dal nove novembre al ventisette dello stesso mese la sala Interaction dell’Arena del Sole accoglie il suo pubblico nelle viscere di un vecchio penitenziario, tra tavoloni di legno grezzo e sedie legate a un tempo che ormai non c’è più.
Qui, fra mura risuonanti di musiche di un'altra epoca e grida disumane, rivive il genio poetico di Pinter e rivive negli sguardi attenti e nei gesti caldi di umanità degli attori di Arte e salute, associazione nata con lo scopo di unire due mondi tenuti ben lontani dalla società odierna: il meraviglioso dell’arte teatrale e l’oscuro della sofferenza mentale. Il progetto porta la firma di Nanni Garella, da più di dieci anni impegnato nel promuovere la collaborazione tra la compagnia di pazienti psichiatrici e lo stabile bolognese; sua è la regia di questo spettacolo nato dai tre atti unici di Pinter: Il linguaggio della montagna, Il bicchiere della staffa e Partytime, tre storie che hanno al centro la violenza dittatoriale, l’abnegazione al potere, i  soprusi e le ingiustizie che si riversano sugli uomini che non rispettano la legge della società, i suoi codici disumani e i suoi gesti senza pietà e in conclusione si riversano nell’assurdo tentativo di ubriacare tutto questo in un ebbrezza dionisiaca che abbaglia l’uomo e lo rinchiude nel club del losco servilismo autoritario.


Un mondo dittatoriale che tuttavia  cela un messaggio di speranza, una filantropia ancora resistente ai miasmi del male umano. E qui nasce la dimensione magica di questo spettacolo: la vivida interpretazione degli attori, specchio di una dimensione privata ben conosciuta da ciascuno di loro, arricchisce la recitazione di un viaggio interiore e la riflette nella messa in scena di testi mai troppo lontani dal reale, dalla loro esperienza. Tutto ciò permette allo spettatore di respirare aria fresca al di là dei muri di cemento armato, gli permette di cogliere un barlume di luce che di volta in volta illumina storie diverse, ferite interiori, pianti soffocati dalla società che vive “là fuori” e che deve rispettare l’imperativo di non vedere il veleno che agisce su essa. Tra sofferenze e sopraffazioni, le vittime conservano ancora il loro essere umani e si battono per portare avanti sguardi, piccoli movimenti, discorsi sussurrati, addirittura diritti umani oltre il fil di ferro del regime autoritario. Tutto questo è intessuto sulla base dell’esperienza privata degli attori: la loro recitazione si nutre delle loro piccole vittorie sul dolore, della difficoltà di entrare a pieno titolo in un circuito teatrale che, con anni di studio e di ricerca, ha portato in scena in tutta Italia testi intrisi di emarginazione, di sacrificio ma anche di fiducia, di speranza, di poetica dell’amore umano. Racconti di vita vera, racconti della loro vita.

Elvira Scorza

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