Moses Pendleton non delude mai il suo pubblico e l’ultimo
lavoro portato in scena ne dà piena dimostrazione. Alchemy è più di una
coreografia, più di un’installazione luminosa, più di un crogiolo di effetti
visivi tecnologizzati. Quando si assiste a questo spettacolo si è testimoni
della divulgazione di una storia: la
Storia dell’Uomo, di tutti noi.
La fusione dei quattro elementi naturali, Acqua Aria Terra e
– soprattutto – Fuoco, genera un’atmosfera tanto affascinante quanto esoterica,
palpabile anche a molti metri di distanza dal palcoscenico.
La genialità del coreografo statunitense non tarda a
presentarsi, proiettando sull’imponente sipario dell’Europauditorium l’immagine
di Dante Alighieri, Poeta per eccellenza, amante spassionato dell’Umanità e,
sicuramente, emblema di quel Medioevo artistico e culturale in cui le pratiche
alchimistiche facevano da padrone.
Ogni singolo elemento dell’azione scenica emana calore: i
costumi rossi e purpurei, le luci infuocate, i teli del fondale utilizzati dai
danzatori come quinte di entrata e uscita. Persino la riproduzione sonora
dell’abisso marino sembra in realtà rievocare lo scricchiolio dei tizzoni
ardenti. E l’incanto del pubblico della platea, sold out per l’occasione, è
talmente pregnante da non lasciare spazio ad alcun applauso nella prima
mezz’ora: difatti neppure qualche lieve defaillance, che in altre circostanze
avrebbe compromesso del tutto la buona riuscita dello spettacolo, ne ha
scalfito in alcun modo il magico potere persuasivo.
La scelta musicale combacia perfettamente con l’incalzare
delle prese, giravolte e acrobazie che sprofondano nelle più remote pratiche di
animismo, trivialità e persino stregoneria: impossibile, a tal proposito, non
pensare al passo a sei (quattro uomini e due donne) sulle turbinose melodie
della colonna sonora di Requiem for a dream.
All’improvviso, come di tradizione nel repertorio dei Momix,
la scena muta radicalmente, lasciando spazio alle tenebre, habitat ideale di
cinque figure dall’aspetto umanoide che simulano esercizi ginnici di vario
tipo, dalle corse ai piegamenti su assi parallele. Le tute aderentissime
corvine, innervate di luci fluorescenti, non sono altro che radiografie del
corpo umano, quasi come se le sculture della mostra di Gunther von Hagens
avessero voluto renderne ancor più suggestiva la visione.
Alchimia assume anche un significato più metaforico: l’unico
pas de deux, infatti, trasuda romanticismo e la perfetta coordinazione dei
movimenti pone i danzatori in un ordine di splendore così sovrumano da
confondersi con le stelle del firmamento.
Inevitabilmente il primitivismo terrestre ripiomba sulla
scena, ma questa volta sembra rivolgersi più alla mente che al cuore degli
spettatori. Dapprima tre ballerine, avvolte da abiti incarnati, gironzolano
appese ad imponenti altalene elastiche (visibili ad occhio nudo fino al
disturbo) assumendo le posture più asimmetriche; poi, altri cinque personaggi
giocano a rifrangere la propria immagine in una struttura di specchi tagliata a
zig-zag. Il processo alchemico, sviluppato dagli elementi della Natura, ha
raggiunto il suo scopo: convergere in un’unica essenza, quella dell’Uomo,
inesorabilmente destinato a confrontarcisi per poter sopravvivere.
Dulcis in fundo, il coreografo di Lyndonville saluta il suo
pubblico con un’ultima creazione sbalorditiva: due costruzioni molleggiate a
staffa di cavallo ospitano quattro danzatori disposti in pose marmoree,
riecheggianti il lustro di eroi ed eroine della notte dei tempi.
È, dunque, l’Arte la consolazione al tormento dell’Uomo?
Ebbene, sì: essa è la vera alchimia di cui egli non smetterà mai di fare parte.
Visto al Teatro Europauditorium di Bologna
Giovedì 6 febbraio 2014
Marco Argentina
Nessun commento:
Posta un commento