Testo di non facile comprensione e interpretazione, ma realizzato sapientemente dal regista Nicola Bonazzi e dagli attori Eugenio Allegri, Micaela Casalboni, Lorenzo Ansaloni e Ida Strizzi, dovuto soprattutto a un accurato lavoro sul copione, sui movimenti dei personaggi e sulle musiche.
Nulla è stato lasciato al caso. Musiche di giostre e carillon, filmati di alberi all’incontrario e biciclette e uomini volanti, valzer, intercalano l’andare di questa pantomima, dove i personaggi, truccati come dei pupazzi, vivono ognuno imprigionato nella propria realtà, ognuno dietro al proprio tic, chiusi in un vecchio teatro di campagna. Numerosi i riferimenti alla storia teatrale europea: chiari i collegamenti con il teatro di Beckett, per la caratterizzazione a-psicologica dei personaggi (il dirigente in particolare, si presenta con il suo contabile Tarozzi, un burattino escrescenza della sua spalla, vestito esattamente come lui, di cui si libererà soltanto alla fine dello spettacolo), ma anche per l’attesa impaziente di questo dottor Giosuè che non arriva mai (pensiamo all’opera Aspettando Godot). E poi Kantor, per i suoi temi di continua precarietà umana, per la sua scenografia povera, ma piena di suggestioni, e per gli aspetti e le movenze dei personaggi, che però a differenza degli attori di Classe morta e di Wielopole-Wielopole sono sicuramente più comici e più riconducibili alla tradizione del teatro di piazza.
Non
a caso Celati chiama questo suo testo pantomima, spiega Bonazzi, “dal cui
repertorio bislacco il Bollettino recupera, reinventandola, la gestualità
parossisitica, l’idea di corpo in perenne movimento e in condizione di
precarietà, riportando in questo modo il mito alla tradizione del teatro di
piazza, che ha affidato la parte dei personaggi biblici ai pescatori, ai
bottai, agli artigiani”.
Uno
spettacolo capace di farci sorridere, ma anche di farci riflettere riguardo i
temi trattati, paurosamente attuali.Credo che il messaggio del testo si possa evincere dall’ultima frase, pronunciata dal contabile Tarozzi (con la voce del dirigente), riguardante il naufragio del mondo dell’arte, della poesia, e della fantasia: “Tutto è all’ordine signori miei, e altro non ci resta da fare che aspettare l’arrivo del diluvio.” (G.B. Andreini, 1623).
Giulia Mento
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