mercoledì 23 marzo 2011

West, ovvero il nostro Occidente della libertà.

Si chiama Dorothy, ha 52 anni. Compie gesti inconsulti che paiono far trapelare agitazione, che sembrano tratteggiare un personaggio segnato da una colpa da scontare o da una nevrosi latente.
La musica incalza, facendo aumentare il ritmo anche del nostro battito cardiaco: si compie una sorta di contagio emotivo. C’è tensione nell’aria, la donna sembra giustificarsi di fronte a una corte.
La sua storia ci arriva a brandelli, narrazioni di momenti in cui il libero arbitrio è stato messo in discussione. E sempre più comprendiamo come la libertà sia il tema fondante dello spettacolo.
Il meccanismo alla base della rappresentazione ci viene svelato lentamente: l’attrice è dotata di due auricolari dai quali sente una voce maschile e una femminile. L’uomo le indica i movimenti da compiere, la donna le parole da dire. Dorothy, nella sua storia e nelle sue movenze, è totalmente guidata da fili nell’etere che la muovono come un burattino.

Il racconto è frammentato, intervallato da frasi della tradizione pubblicitaria. Il corpo è scomposto nelle sue periferie, mani e piedi non dialogano, ma si muovono autonomamente come se non fossero parte del medesimo organismo. Gesto e parola non sono legati, avanzano parallelamente, condotti da due voci diverse, quelle di Chiara Lagani e Marco Cavalcoli, come due partiture che in tempo reale sono sintetizzate dal corpo della protagonista. Si tratta di Francesca Mazza, storica attrice di Leo de Berardinis e co-fondatrice con lui del Teatro di Leo, che qui collabora con Fanny & Alexander, compagnia ravennate tra i maggiori esponenti del teatro di ricerca del territorio romagnolo. La magistrale interpretazione di West è valsa alla Mazza l’assegnazione del Premio Ubu 2010 come attrice protagonista.

La compagnia Fanny & Alexander si ispira al racconto di Frank Baum Il meraviglioso mago di Oz, allegoria del sistema statunitense di fine ‘800, mantenendo però solo alcuni riferimenti visivi e destrutturandone l’impianto narrativo. La riflessione su questo racconto ha, per la compagnia, una lunga storia e numerosi sono gli spettacoli nati dalla sua rilettura in chiave contemporanea.

West è un sagace carotaggio del mondo dei consumi, che emerge attraverso citazioni televisive e pubblicitarie, nelle sue scintillanti contraddizioni. Modi di dire, frasi fatte, slogan subiscono qui un ribaltamento che ha il potere di svelare al pubblico modi di pensare ormai incorporati, ma su cui mai ci si è soffermati tanto a ragionare. Lo spettacolo, in scena il 9 e 10 marzo a Teatri di Vita, ci fa sondare quanto sia radicata in noi l’illusione di poter disporre del nostro corpo, di poter tracciare giorno per giorno la linea della nostra vita.

La protagonista, come noi immersa nel mondo delle libertà apparenti, sogna un altrove statunitense che le assicuri indipendenza e autarchia, regno del supremo individualismo, meraviglioso mondo di Oz. Questo sogno le permette di proiettarsi in una seconda vita, mentre osserva la prima scivolarle via attraverso il sangue che sgorga copioso. Nemmeno nel momento della morte la donna è libera di decidere del proprio destino, le viene imputata la colpa di non essersi presa cura di se stessa e deve difendersi da questa accusa.


Mentre si dibatte tra ciò che è, ciò che mostra di sé e ciò che gli altri vorrebbero da lei, dalle sue labbra trabocca come un rigurgito il celebre slogan: “L’immagine è zero, la sete è tutto. Ascolta la tua sete!” che ben esprime il tentativo della società dei consumi di naturalizzare i nostri nuovi bisogni non più prodotti dell’autoregolazione, ma dettati dall’ambiente in cui siamo immersi.
Siamo tutti come burattini, mossi da fili invisibili, espressione delle dinamiche di potere e del mondo culturale di cui anche noi siamo un prodotto.
Anna Parisi

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