Una scena del tutto essenziale accoglie gli
spettatori di Crónica di José Agarrotado: perfino le luci, soffuse, sembrano
essere esse stesse un modo intimo e naturale per invitare il pubblico a
prendere posto in fretta tra le poltroncine scure. Perché qualcosa, aldilà del
filo impercettibile tra scena e platea, di misteriosamente urgente e
necessario, sta prendendo vita.
Le luci scompaiono ed ecco apparire sulla
scena un altro uomo, con lo sguardo perso nel vuoto. All'improvviso un boato,
una musica elettronica che scuote l'intero scenario, pervade i corpi degli
attori: insieme iniziano a fluttuare nello spazio, saltano, scappano, sbattono
i pugni contro le pareti, affondano la testa nell'acqua, sfuggono l'uno
dall'altro, cercando di evitare qualsiasi tipo di contatto, muovendosi
equidistanti su un filo sottile che diviene barriera invalicabile, insondabile,
separando i corpi quanto le parole.
L'incomunicabilità, fisica e verbale, viene
così svelata fin da principio e diviene il vero tessuto drammaturgico che si
snoda tra i corpi degli attori, veri e propri segmenti base del momento
performativo.
Cronica de Josè Agarrotado ha veramente ben
poco a che vedere con una narrazione fatta di parole, di lettere, di sillabe o
di rime in versi. Quella ad essere raccontata non è una storia da manuale. A
narrare e a narrarsi reciprocamente sono i corpi, nei loro profili scultorei,
nelle loro ombre che si tratteggiano nello spazio, nel loro divenire specchio
di una crisi comunicativa che si intesse nella nostra attuale esistenza
sociale.
Lo spettatore si ritrova, fin dall'inizio, di
fronte a due attori che si muovono equidistanti l'uno dall'altro.
Si scrutano, si scambiano una frase senza
senso, Cuando te lo diga yo (Quando te lo dico io) senza che l'altro riesca mai
a portare a compimento quanto chiede il primo.
Ed è proprio da questa domanda senza risposta, che si origina una musica assordante, penetrante, in cui si ha la sensazione di vedere letteralmente annegare i corpi degli attori.
Si delinea così una lotta di impulsi
frenetici, in cui gli attori si scambiano continuamente i ruoli: se uno affonda
la testa nell'acqua, l'altro lo libera, buttandosi a sua volta nel bidone.
Non mancano i tentativi di abbracciarsi, che
finiscono inevitabilmente in uno scontro, in una lotta di nervi durissima. Gli
attori bussano contro le pareti, contro il tavolo, contro le sedie, spostano continuamente
gli oggetti in maniera compulsiva, l'uno modificando quanto fatto dall'altro.
Ci si annega dentro le bolle di fumo, le
sigarette diventano uno dei pochi elementi di contatto con l'altro: gli attori
fumano i rispettivi sigarillos, costituendo addirittura un gioco in cui
crogiolarsi, solleticarsi, l'uno respirando il fumo dell'altro. Danno così vita
ad un incrocio, nel tentativo di annusarsi e sottrarsi dalle barriere
dell'incomunicabilità.
E poi il regalo: diviene parte stessa della
frenesia, viene trascinato da una parte all'altra della scena, lo si dona
all'altro, lo si apre, sfondandolo violentemente, secondo ciò che appare come
un rituale spasmodico, dove l'uno incoraggia l'altro ad aprirlo, fino a quando
la carta viene strappata in mille pezzi. Viene così svelato cosa contiene il
pacchetto magico: un coltello che, secondo il donatore, dovrebbe essere un po'
come un vestito da indossare. L'altro se lo prova, lo armeggia prima contro di
sé e poi contro l'altro. Nuovamente una lotta, nuovamente barricati oltre
quella lama che ora appare visibile, concreto simbolo dei numerosi, infiniti
fili invisibili, intessuti nello spazio scenico, che impediscono ai due uomini
di avvicinarsi.
La musica cessa, si interrompe. Una frase rompe il silenzio. Te quiero (Ti amo) e la risposta Yo tampoco (Neanch'io). Prende il via così la ripetizione all'infinito di una frase che riceve una risposta che non sembra essere proprio adatta a quella dichiarazione, e che sembra rimandare alla celebre canzone di Serge Gainsbourg e Jane Brikin Je t’aime, moi non plus (Ti amo, nemmeno io) .
Fino ad arrivare ad altrettanti tentativi di comunicazione
che iniziano con un Por eso (Per questo) e terminano con un Por ti (Per te).
Una nuova musica prende il via, questa volta
scandita da un 'tic tac', prima rallentato e poi accelerato, ed accompagna
l'ultima frase di uno dei due attori: Yo no tengo nada que decir (Io non ho
niente da dire). Poi la sua uscita di scena, con l'ombra della sua sagoma che
si delinea sul fondo, fino a scomparire oltre l'uscita laterale.
In scena resta un solo attore, e continua a
chiedere Estas allì verdad? (Sei ancora lì vero?), fino a perdersi con lo
sguardo oltre la sedia del suo compagno, vuota, illuminata unicamente da alcune
luci soffuse.
Si chiude così il filo rosso dello spettacolo,
nella ricerca, nella mancanza quasi morbosa dell'altro, nonostante l'impossibilità
di comunicare che divide due uomini, due corpi, due menti.
Anche mentre il pubblico lascia la sala, l'attore
continua a restare lì, sussurrando sempre lo stesso monologo tra sé e lo spazio
che lo circonda.
E lo fa attraverso un modo che forse comunica
più di ogni altro, ovvero tramite i corpi, intessendoli di gesti che si fanno
parola.
Si assiste in maniera tangibile al rincorrersi
continuo, in un’altalena di emozioni, dei corpi che mettono a nudo quella
confusione soffocante, risucchiante che deriva dall'esistenza stessa,
dall'incomunicabilità, dal non riuscire a percepire ciò che non risulta
razionalmente comprensibile. Tutto ciò da frasi, gesti, frammenti che non
comunicano. E si mostrano lì, integri, nella loro perfetta vacuità.
Nel suo complesso Crónica de José Agarrotado
tuttavia comunica. Attraverso lo scontrarsi continuo dei due uomini, attraverso
il rifuggire dalle parole, attraverso la ricerca di quello spasmo comunicativo
dei corpi, che ci riporta ad uno stato di nudità non solo dell'esistenza. Ma
anche del teatro, dimostrando la possibilità di poter scandagliare l'universo
del corpo per farsi esso stesso partitura scenica.
Si rischia spesso di perdersi dentro a questo
vortice frenetico dell'incomunicabilità.
Ma questo forse resta un elemento
profondamente ricercato da David Clement e Pablo Molinero, attori della compagnia Los Corderos,
drammaturghi, registi dell'opera, per rendere ancora più visibile la confusione
contagiosa che deriva dalla rigidità delle barriere insite in “José
Agarrotado”, “José Irrigidito”.
Un lavoro che comunica in maniera lucida e
tangibile la possibilità di rendere visibile l'impossibilità che ci circonda
nella vita. E spesso, soprattutto nel teatro.
Visto a Sala Maria Plans, Terrassa,
Barcellona il 23 novembre 2013
Carmen Pedullà
Nessun commento:
Posta un commento