giovedì 10 marzo 2011

Vita senza morte o morte senza vita?


The End, la fine. Al teatro delle Briciole di Parma è andata in scena la trasformazione ben riuscita, da parte della compagnia teatrale Babilonia Teatri, del precedente This The End My Only Friends The End, presentato in forma di studio al festival di Sant’Arcangelo l’estate scorsa. La scrematura, oltre che il titolo, ha riguardato anche la scena. Da dieci protagonisti si è passati a uno soltanto.

L’attrice Valeria Raimondi ha così assorbito su di sé, sulla sua voce, sul suo corpo, i principali temi affrontati dallo spettacolo. Primo fra tutti, la fine, la morte, momento della vita e non fuori da essa. La morte che l’uomo affronta in solitudine, perché come recita il ritornello dell’omonima canzone dei Doors, in quell’attimo l’unica amica, l’unica spalla è la fine stessa. Lo spettacolo riduce gli attori, ma aggiunge simboli, come un Cristo in croce, che sarà la stessa Raimondi a issare sul palcoscenico, durante lo spettacolo. Scena completata da un frigorifero, scrigno delle teste mozzate di un bue e di un asinello che contribuiranno a comporre il presepe immaginario finale. Immancabile la stella cometa tenuta in alto dalla protagonista nel presepe stesso che simboleggerà il cerchio chiuso dell’esistenza, aperto dalla stella appunto e chiuso dal crocefisso.


Cinquanta minuti la durata della perfomance, nei quali la Raimondi esibisce un’ottima combinazione tra tecnica corporale e uso della voce. Breve lo spettacolo, lungo lunghissimo il suo monologo inframezzato da brani di Tenco e dei Doors. Considerazioni amare su come oggi l’uomo affronti la sua vita, e dunque la sua fine. Parole attaccate le une alle altre con un ritmo frenetico, penetrante, incessante, che fanno da contraltare al corpo dell’attrice, fisso, immobile. Parole ritmate e rimate, tese a provocare lo spettatore, ad accenderne ansia e frustrazione, a togliergli il respiro per poi restituirglielo con l’ironia scandita dal dialetto. Sulle mani stigmate tenute in bella vista, richiamo alla sofferenza come il Cristo appeso alla croce.

Una sofferenza nascosta, celata da badanti e case di cura. O magari negata, anticipando la propria condanna con una pistola che l’attrice a un certo punto impugna e con la quale spara. Oggi si controlla tutto e se non si può decidere il giorno in cui venire al mondo, almeno si vuol segnare sul calendario quello nel quale mollare tutto evitando di pisciarsi addosso. La pistola o la croce? Basterebbe accettare che The End è semplicemente il titolo di coda di una vita che non sarebbe tale senza la morte.

Davide Di Lascio

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