Le luci di sala si spengono e siamo calati nella nebbia che abita la mente di Alcina, personaggio che trae il nome dall'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto.
Se in esso era fata crudele, segnata dal vizio, e trasformava i suoi amanti in piante e pietre, qui è sorella di “Principessa”, la proprietaria di un canile della campagna romagnola.
Anzi, questo doveva essere nella precedente opera del Teatro delle Albe a lei dedicata, L’isola di Alcina di Nevio Spadoni, che ha debuttato nel 2000 alla Biennale di Venezia.
L’odierna versione Ouverture Alcina è un nuovo studio sul medesimo personaggio che qui acquista veste di spirito incarnato, condensato di tutte le caratteristiche della precedente Alcina.
La vicenda, che la vede protagonista, ci viene narrata a luci di sala ancora accese da un Marco Martinelli in borghese: due sorelle, Alcina e “Principessa”, ereditano un canile in campagna dal padre che un giorno le abbandona. Un forestir, un bellissimo forestiero, approda nel loro terreno e viene accolto dalle due donne. “Principessa” se ne innamora e forse anche Alcina segretamente intesse con lui una relazione. Il forestir lascia poi il canile e scompare per sempre. Questo secondo abbandono porta “Principessa” alla follia e Alcina sacrifica la propria vita per stare al suo fianco.
La storia non appare nello spettacolo odierno, dove non vi è evoluzione della narrazione. Qui restano solo i tratti di Alcina che si concentrano, sino a trasformarla in presenza soprannaturale e occulta.
È un’entità nera, cupa, rabbiosa, che appare sovrumana. Parla una lingua oscura, uno stretto dialetto romagnolo che, per molti tra il pubblico, risulta totalmente incomprensibile.
Alcina sembra lanciare maledizioni mentre scivola, come priva di peso, tra un taglio di luce e l’altro. Proprio le luci, insieme alla musica elettronica, elaborata dal vivo da Luigi Ceccarelli, contribuiscono a creare un’atmosfera sospesa e surreale. Il viso cereo della figura e la calla bianca che reca tra le mani spiccano in mezzo al grande buio che la circonda e al nero del suo abito.
La voce è l’elemento centrale, si trasforma in musica, è la presenza stessa di Alcina. Ermanna Montanari, ancora una volta, attraversa con essa le differenti sfumature del personaggio e ci permette di entrare nelle dinamiche che lo muovono. La parola torna a essere puro suono primordiale, privo di significato per molti tra il pubblico: le onde sonore, portatrici di grande espressività, ci trascinano con sé.
Presentato ai Laboratori DMS di via Azzo Gardino il 10 e 11 marzo, Ouverture Alcina è tra le ultime creazioni del Teatro delle Albe, compreso nel programma della Soffitta nel progetto Attrici in personaggi maschili condotto dalla docente Laura Mariani.
Lo spettacolo mostra nuovamente la capacità della compagnia ravennate di toccare aspetti profondi dell’umanità, trasponendo una storia individuale in momento di riflessione universale e toccando corde che paiono appartenere a tutti noi. Proprio per questo Alcina perde le sue connotazioni umane per trasformarsi in una creatura magica, potente e ancestrale.
Anna Parisi
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