Carnalità,
realtà e passione: sono queste le tre parole-chiave di Foudres
(Création 2012).
Un
Monte Olimpo modernizzato, popolato da individui alati maschili e
femminili marcatamente distinguibili attraverso il “costume” del
nudo integrale, non ha nulla di etereo e pacato. Anzi, l’umanità
degli abitanti è feroce e non concede alcuno spazio ai sentimenti: i
due veri protagonisti dell’azione scenica (una coppia d’innamorati)
sono tenuti in ostaggio, imbavagliati con nastro adesivo nero e
confinati negli angoli estremi del proscenio.
In
un gioco di personificazioni dei più disparati luoghi comuni della
società, i “Cupidi” si fanno beffe dei prigionieri rivestendoli
con abiti da Gran Ballo e impartendo lezioni di bon-ton parodiate,
fino a quando un cambio di scena inaspettato destabilizza
completamente il quadro performativo.
Sette
grandi tavoli da lavoro, ricoperti da un cuscino nero, costituiscono
il palcoscenico di un teatro dell’innamoramento e degli animosi
turbamenti che ne conseguono. Le danzatrici, sbattendo violentemente
sulle piattaforme, e i ballerini, aggrappandosi ai quattro piedi,
coreografano quel love
is suffering
shakespeariano all’urlo di «This is Heart in falling love!».
Il
crescendo dei tonfi rimbomba nella piccola sala di Teatri di Vita
fino a confondersi nelle note drammatiche di un pianoforte, graffiate
dalle vibrazioni di un sintetizzatore, che accompagnano il passo a
due affannosamente virtuosistico degli ex prigionieri. Un crogiolo di
rincorse, prese ed energie infiamma i loro corpi, ostinati nel
perpetuare la passione che li impregna.
Ancora
una volta, però, qualcosa decide di smorzare la folgore del puro
erotismo: guerrieri ultra-terreni, dalle lugubri “armature”
succinte e minimaliste, aggrediscono la scena con la furia di una
mandria, ingentilita dalle parodiche imitazioni degli esercizi alla
sbarra,
tipici della danza classica, e spettacolarizzata dalle acrobazie
della breakdance
e dalle giravolte della capoeira.
Questo
caos che spadroneggia sulla scena all’incalzare della musica
tribale, intervallata da sirene e boati d’allarme, lascia spazio
anche a brevi momenti d’insieme coreografico, dove i danzatori,
purtroppo, mostrano qualche diseguaglianza nella coordinazione dei
movimenti e dei ritmi.
Improvvisamente
il buio zittisce il pandemonio ed un occhio di bue squarcia la quarta
parete dell’invisibile boccascena per introdurre il monologo
disperato del protagonista: un uomo nudo con un mazzo di rose bianche
in mano scivola su di un fluido rossastro e dichiara al Mondo
l’immensità del suo Amore, sfatando tutte le convenzioni. La sua
amata lo ringrazia raccogliendo i petali sparpagliati nella pozza
scarlatta del “sangue” della passione e, al contempo, ripulendoli
con lacrime di rassegnazione.
Il
dolore della donna è corollato dall’indifferenza degli altri
personaggi, che si apprestano ad effettuare il successivo cambio di
scena: una fila di seggiole disposte in semicerchio dà il benvenuto
all’interno di una riunione di “Angelisti Anonimi”, aperta a
qualsiasi partecipante.
Dalla
platea viene selezionato un uomo per interagire nell’azione
scenica, che si svilupperà in un’esplicita celebrazione del sesso,
prima sotto forma di lezione d’anatomia poi attraverso la
simulazione di un rapporto sessuale vero e proprio con una bambola
erotica gonfiabile.
Quando
tutto sta per sfociare in un rito orgiastico, un tuono ristabilisce
l’equilibrio nelle menti lussureggianti e re-indirizza lo sguardo
dello spettatore verso il fulcro della rappresentazione: i due
giovani amanti, ormai nudi, insozzati e stanchi rantolano per il
palcoscenico come belve in cerca di una tana.
L’epilogo
della Guerra tra il Male e l’Amore si sta compiendo e la coppia
d’innamorati, forse l’ultima rimasta sulla Terra, forse diretta
discendente di quella originaria dell’Eden, ne è uscita
vittoriosa. Ed è un tenero abbraccio a suggellarne il
festeggiamento, a dimostrazione di quanto la dolcezza di un
sentimento possa surclassare qualsiasi avversità.
Visto
il 12 febbraio 2013 a Teatri di Vita (Bologna)
Marco Argentina
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