sabato 7 maggio 2011

“La malattia della famiglia M” di Fausto Paravidino: il disagio dell’incomunicabilità in scena


Poco più che trentenne e già autore, attore e regista nel suo nuovo spettacolo “La malattia della famiglia M”: si tratta di Fausto Paravidino, giovane promessa del teatro e del cinema italiano, che porta in scena la sua nuova creazione presso l’Arena del Sole il 6, 7 e 8 aprile.
Premio Ubu per la drammaturgia nel 2001 e ormai affermato attore di cinema, Paravidino si confronta oggi con la regia di un testo proprio, presenziando anche come interprete all’interno del cast di giovani attori.
La famiglia M, composta da un padre e i suoi tre figli, è segnata dalla malattia, intesa come patologia che ha portato la madre a morte prematura, disagio fisico del padre che soffre di un malessere misterioso e incomunicabilità tra membri del gruppo. Tutti cercano amore per colmare il vuoto lasciato dall’assenza della madre, ma la malattia dell’impossibilità di comunicare si infiltra nelle relazioni impedendo lo scambio reciproco di affetto. 

La casa diviene il luogo in cui meno emergono i sentimenti profondi dei personaggi che appaiono compressi e schiacciati dalle mura domestiche. In scena sono sempre compresenti la sala da pranzo dell’abitazione e il giardino al fine di mostrare allo spettatore come i personaggi mutino dentro e fuori dall’ambiente familiare. Seppur abitino lo stesso spazio essi appaiono segnati da una grande solitudine.
Lo spettacolo fa eco a tematiche trattate da Anton Cechov sin dalla fine dell’Ottocento: l’impossibilità di esprimersi, di comprendere ciò che si vuole e di agire quindi per cambiare la propria esistenza. I temi emergono però in chiave contemporanea con il lessico della generazione cui Paravidino appartiene. Anche elementi cinematografici fanno capolino sul palco: tuoni, fulmini e pioggia solcano la scena come in un set di Cinecittà. 


Il giovane Giovanni, interpretato dallo stesso autore e regista, è il protagonista della storia, unico personaggio che non accetta l’equilibrio disarmonico e teso su cui si regge la famiglia. Le sue due sorelle sono in costante lotta tra loro, uno scontro che vede opporsi due modelli di vita molto diversi. Marta, la sorella maggiore seria e responsabile, sacrifica la propria libertà per la famiglia generando però sensi di colpa in Maria, sorella minore bella e corteggiata che sceglie invece di godere maggiormente della propria esistenza.
Se inizialmente la storia ha i tratti tipici del dramma borghese essa si tramuta in commedia degli equivoci grazie alle vicende di Maria e dei suoi due pretendenti. Il finale ha però i toni della tragedia: Giovanni muore e con lui anche la voglia di agire per favorire il cambiamento.
La sua morte genera mutamenti: i parenti si stringono in un abbraccio solidale per poi scegliere di lasciare la casa. Il nucleo familiare si scardina, non resiste a questa seconda disgrazia, ma in fondo ciascun membro può ora dirigersi verso un altrove in cui poter andare alla ricerca di sé, seppur con il rischio di perdersi. L’inazione si trasforma quindi in capacità di agire e prendere le redini della propria esistenza.


Certo la tematica non è tra le più originali, ormai ci appare affrontata in tutte le salse dalla letteratura, dalla cinematografia e dal teatro. Il pubblico sembra però apprezzare questa messa in scena e forse mostra così il bisogno di tornare sulle difficoltà di comunicazione nella famiglia contemporanea. Ci viene però da domandarci se non si tratti di un argomento ormai così sviscerato da non richiedere più riflessione e da risultare leggero e digeribile come un film di Muccino.

Anna Parisi

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