sabato 7 maggio 2011

Drammi in un interno di famiglia


Paravidino e la sua genialità teatral-cinematografica.

La Malattia della Famiglia M: c'è tanto in questo titolo, un mondo intero. Fausto Paravidino come autore e regista della pièce desidera aprire al suo pubblico una porta sulla tormentata esistenza di una famigliola di estrazione medio borghese che dimora, probabilmente, in una piccola frazione dispersa tra le nebbie della val padana. La scenografia sul palco propone una netta divisione tra due diversi luoghi dell'azione: a destra la sala da pranzo di casa M (con tanto di tavolo, sedie, telefono e una finestra che da su uno sfondo grigio di nebbia), a sinistra una scomoda panchina tra due alberi spogli, come tante ce n’è in quei giardinetti comunali tipici delle zone denuclearizzate. A guidarci tra i meandri di questa vicenda dall'andamento morbido e quasi rallentato è il dottor Cristofolini. Testimone d'eccellenza, voce fuori campo ma anche personaggio in qualche maniera coinvolto negli eventi. 

La vita quotidiana del pittorico quadretto familiare è dominata dalla non meglio specificata malattia psico-fisica che affligge il signor Luigi. Un uomo stretto nel dolore della sua vedovanza che sprofonda giorno dopo giorno, inesorabilmente, verso una demente-apatia che sospende in lui ogni possibilità di esercitare una qualche forma di autorità genitoriale sulla prole. A fare le spese di questo tetro stato delle cose sono proprio i tre giovani figli. Castrati nei sogni e nelle aspirazioni essi appaiono e dispaiono come anime in pena ripetendosi l'un l'altro ossessivamente la domanda “Mi vuoi bene?” . Così Maria, giovane e bella, ipercorteggiata da due ragazzi (Fulvio - il narcisista egocentrico - e Fabrizio- l'ingenuo e buono) ma alla perenne ricerca di conferme negli affetti e nell'amore e in qualche modo destinata a non esser mai soddisfatta nelle sue aspettative. La personalità inquieta di Maria viene, a un tratto, messa in risalto dal melodico “Maria, Maria” del musical West Side Story. Stessa carenza d'amore è quella avvertita da Marta, la sorella più grande. Intelligente, responsabile e concreta costei sembra guidata da un'insana vocazione al costante sacrificio di sé nello spasmodico tentativo di favorire il bene dei suoi cari. Il ceffone che Marta restituisce all'ormai incapace anziano padre, risuona nell'aria attonita della platea come un gesto carico di significato, tanto più, se lo si legge nell'imperativo che la figlia rivolge al genitore “Mai più”: un vano tentativo di riscattare la vita sua e dei fratelli da un sì triste giogo. Malgrado ciò tra le due sorelle scorre un fiume d'incomunicabilità che sfocia nell’astio. Infine, dinoccolato e sempre sorridente, si presenta Gianni (lo stesso Paravidino), il fratello minore, un dolce Peter Pan desideroso di giochi e armonia, l'unico però deciso a non mettere a tacere la sua coscienza e la sua profonda sofferenza per il dramma quotidiano che si consuma tra le mura domestiche. Tra loro si aggira il ricordo luttuoso della madre. Come nelle fiabe dei fratelli Grimm, costei è la grande assente; una malattia misteriosa e impietosa l'ha portata via. Secondo Gianni una depressione che l'ha condotta al suicidio, secondo Marta una vera e propria malattia incurabile. Fatto sta che la sua morte ha lasciato un vuoto incolmabile nelle vite di tutti scatenando altresì in ognuno di loro oscuri sensi di colpa. Per tutto il tempo la figura materna è rievocata, a tratti con affettuosa nostalgia, molto più spesso con fastidio e con tormento. 


Sono personaggi che si fanno conoscere bene questi di Paravidino e il pubblico vive con loro ogni momento ponendosi in prima persona, forse perché questa quotidianità teatrale affonda le sue radici nella dura realtà di tanti nuclei familiari. In questo Paravidino sembra fare riferimento al suo stesso lavoro di regista cinematografico per il film Texas e strizza l'occhio al Gabriele Muccino di Ricordati di me. La scenografia e la scelta dei costumi sono in questo senso volutamente molto cinematografiche. L'arredamento della casa e il trillo del telefono innanzitutto, gli indumenti prettamente invernali (capotti, bomber, cappelli, e maglioni) che gli attori indossano nelle varie scene a seconda che siano negli “interni” o negli “esterni” e gli straordinari effetti di pioggia (con la fontana dietro i vetri della finestra) e di tuoni e fulmini (luci al flash e effetti sonori molto reali). 

Ma il vero colpo di scena è rappresentato dalla tragica morte di Gianni in seguito a un incidente d'auto su un terreno scosceso e scivoloso di neve (ovviamente fuori scena, ma narrato da un testimone oculare come nelle tragedie greche). Il giovane muore assopendosi serenamente come un bell'addormentato colpito all'improvviso da un incantesimo. La sua è una morte celebrale e fisica causata da un trauma cranico ma è anche la morte di un cuore puro. Solo con questa morte però avverrà il miracolo. Il dolore per la prematura perdita del giovanissimo fratello ricompatta per alcuni istanti in un ultimo sentito abbraccio collettivo le due sorelle e il genitore. Confortato dall'ultimo istante di sincera unione delle persone a cui vuol bene, Gianni spira: reclina dolcemente la testa, ricoperta ancora d'una candida coltre di neve (in realtà leggere piume bianche), sul piano in legno del tavolo su cui è poggiato un grande fascio di rose rosse. La neve e alcuni petali vermigli rovinano sul pavimento. Un effetto, questo, che potrebbe apparire romantico o sorpassato agli occhi dei più ma che invece pone in essere una ritrovata riflessione sulla poetica del pittorico ed estetico teatrale. Permangono nella memoria questi grigi luoghi di periferia e si dibattono colmi di disperazione, come uccelli migratori prigionieri in una gabbia, i checoviani componenti della famiglia M. 


Alla fine dello spettacolo gli applausi scrosciano generosi. L'ottimo cast, quasi interamente composto da giovani ma preparatissimi attori, è richiamato sulla scena per i rituali ringraziamenti almeno sei volte. A spettacolo terminato incontro Fausto Paravidino e faccio a lui i miei più sinceri complimenti. È un ragazzo, dal viso simpatico e gradevole. Si lamenta un po' del fatto che altre pièce di sua creazione non trovino produttori disponibili a metterle in scena. Un vero peccato, il livello è alto. Mi rilascia graziosamente un autografo e una fotografia. Una degna conclusione per una piacevolissima serata.

Enrico Rosolino

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