martedì 4 febbraio 2014

Si inabissa La Tempesta dei Motus in attesa di rivoluzione

C’era una volta La Tempesta, presagio di vendetta.


Shakespeare ci raccontò di Prospero e le sue arti magiche, di suo fratello Antonio, vittima di un piano ingiurioso, della nave ribaltata e di una rivalsa macerata per lungo tempo. Poi scrisse di Ariel collaboratrice di Prospero, di Miranda madre del mostruoso Calibano, abitante dell’isola nel Mediterraneo in cui è ambientata l’intera vicenda.
C’era una volta una commedia. Ciò che una volta si leggeva come finzione narrativa, oggi si traduce in attualità. L’ignota isola del Mediterraneo ora è Lampedusa e la tempesta inventata dal celeberrimo drammaturgo si chiama uragano Sandy. Una tempesta fatta di disordini, l’entropia della materia che presagisce la Rivoluzione.


La compagnia romagnola Motus destruttura e scompone le vicende originali per tessere una nuova trama più che attuale. Una scena costruita con un solo telo sul fondale accoglie un’Ariel in pantaloni e giacchetta che si interroga sulla finzione e sulla mancanza di interazione con lo spettatore in teatro. Anticipa verbalmente le azioni, esegue una partitura di gesti predetta dalle scritte in inglese proiettate sul telo. Brechtianamente il pubblico non riesce a immedesimarsi, rimane vigile, assiste a realtà già largamente conosciute. Le onde del mare in tempesta si infrangono tra le mani degli attori in scena poiché sono coperte colorate (portate da casa da alcuni spettatori del posto), che all’occorrenza diventano trampolini di lancio, o spazi soffocanti.
Si naviga da Cartagine a Tunisi, fino alla Libia che viene raccontata da un reportage di testimonianze sopravvissute all’umiliante e disumana detenzione a Lampedusa. La speranza per una vita migliore si rivelerà essere solo un sogno, rinchiuso nel Palazzo Salaam di Roma - dove vengono trattenuti i richiedenti asilo politico.
Da questa dilagante disperazione si inneggia alla Rivoluzione, per smorzare la forza distruttrice del mare (e del male). 


Voci, cori rivoluzionari fuori campo annunciano che è giunto il momento di combattere. La rivoluzione è negli sguardi, nel tempo, nelle mani di chi ne ha voglia. Si profetizza la tempesta come rivoluzione del mondo intero. Calibano va incontro alla disfatta, mentre si parla di libertà. Prospero per tutto lo spettacolo è relegato in proscenio tra un faro che illumina le persone e una cinepresa. Tutti gli attori entrano nell’opera con “tempeste” personali. Tempesta è decidere se partire o rimanere; se provare a cambiare o lasciare tutto così com’è; è ascoltare la voce di Judith Malina che sprona le coscienze alla lotta, mentre l’uragano Sandy sparge distruzione. Rimbombo di suoni cupi e luci stroboscopiche sembrano frammentare il tradizionale marchingegno teatrale per scrivere un teatro da vivere, più che fruire passivamente.


Una ricerca visionaria nel ridisegnare spazi e filtrare miti che forse esigeva riscontri più concreti, un finale più fermo, forte come i supposti su cui si basa il tutto.
In Shakespeare, nonostante i tentativi di Prospero di controllare le vite degli abitanti dell’isola, la vicenda si conclude con il lieto fine.
Il Prospero dei Motus, invece, non se la sente di risolvere la vicenda: una tormenta sospesa, incompleta, una tempesta senza risoluzione dunque, un punto interrogativo senza risposta.
Conclude chiedendo: “Perché non far scattare piccole tempeste nella realtà?”
Sì, e poi?

Visto al Pubblico Teatro di Casalecchio il 30 gennaio 2013.

Nella tempesta 

2011 > 2068 AnimalePolitico Project

uno spettacolo di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò
con Silvia Calderoni, Glen Çaçi, 
Ilenia Caleo, Fortunato Leccese, Paola Stella Minni
drammaturgia Daniela Nicolò
assistente alla regia e traduzioni Nerina Cocchi
direzione tecnica e suono Andrea Gallo
moving-head design Alessio Spirli
riprese e montaggio video Enrico Casagrande, Daniela Nicolò


Angela Sciavilla

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