Shakespeare ci raccontò di Prospero e le sue arti magiche, di suo
fratello Antonio, vittima di un piano ingiurioso, della nave ribaltata e di una
rivalsa macerata per lungo tempo. Poi scrisse di Ariel collaboratrice di
Prospero, di Miranda madre del mostruoso Calibano, abitante dell’isola nel
Mediterraneo in cui è ambientata l’intera vicenda.
C’era una volta una commedia. Ciò che una volta si leggeva come
finzione narrativa, oggi si traduce in attualità. L’ignota isola del
Mediterraneo ora è Lampedusa e la tempesta inventata dal celeberrimo
drammaturgo si chiama uragano Sandy. Una tempesta fatta di disordini, l’entropia
della materia che presagisce la Rivoluzione.
La compagnia romagnola Motus destruttura e scompone le vicende
originali per tessere una nuova trama più che attuale. Una scena costruita con
un solo telo sul fondale accoglie un’Ariel in pantaloni e giacchetta che si
interroga sulla finzione e sulla mancanza di interazione con lo spettatore in
teatro. Anticipa verbalmente le azioni, esegue una partitura di gesti predetta
dalle scritte in inglese proiettate sul telo. Brechtianamente il pubblico non riesce a immedesimarsi, rimane
vigile, assiste a realtà già largamente conosciute. Le onde del mare in tempesta
si infrangono tra le mani degli attori in scena poiché sono coperte colorate (portate
da casa da alcuni spettatori del posto), che all’occorrenza diventano
trampolini di lancio, o spazi soffocanti.
Si naviga da Cartagine a Tunisi, fino alla Libia che viene raccontata
da un reportage di testimonianze sopravvissute all’umiliante e disumana
detenzione a Lampedusa. La speranza per una vita migliore si rivelerà essere
solo un sogno, rinchiuso nel Palazzo Salaam di Roma - dove vengono trattenuti i
richiedenti asilo politico.
Da questa dilagante disperazione si inneggia alla Rivoluzione, per
smorzare la forza distruttrice del mare (e del male).
Voci, cori rivoluzionari fuori campo annunciano che è giunto il momento di combattere. La rivoluzione è negli sguardi, nel tempo, nelle mani di chi ne ha voglia. Si profetizza la tempesta come rivoluzione del mondo intero. Calibano va incontro alla disfatta, mentre si parla di libertà. Prospero per tutto lo spettacolo è relegato in proscenio tra un faro che illumina le persone e una cinepresa. Tutti gli attori entrano nell’opera con “tempeste” personali. Tempesta è decidere se partire o rimanere; se provare a cambiare o lasciare tutto così com’è; è ascoltare la voce di Judith Malina che sprona le coscienze alla lotta, mentre l’uragano Sandy sparge distruzione. Rimbombo di suoni cupi e luci stroboscopiche sembrano frammentare il tradizionale marchingegno teatrale per scrivere un teatro da vivere, più che fruire passivamente.
Una ricerca visionaria nel ridisegnare spazi e filtrare miti che forse
esigeva riscontri più concreti, un finale più fermo, forte come i supposti su
cui si basa il tutto.
In Shakespeare, nonostante i tentativi di Prospero di controllare le
vite degli abitanti dell’isola, la vicenda si conclude con il
lieto fine.
Il Prospero dei Motus, invece, non se la sente
di risolvere la vicenda: una tormenta sospesa, incompleta, una tempesta senza
risoluzione dunque, un punto interrogativo senza risposta.
Conclude chiedendo: “Perché non far scattare piccole tempeste nella
realtà?”
Sì, e poi?
Visto al Pubblico Teatro di Casalecchio il 30 gennaio 2013.
2011 > 2068 AnimalePolitico Project
con Silvia Calderoni, Glen Çaçi,
Ilenia Caleo, Fortunato Leccese, Paola Stella Minni
drammaturgia Daniela Nicolò
assistente alla regia e traduzioni Nerina Cocchi
direzione tecnica e suono Andrea Gallo
moving-head design Alessio Spirli
riprese e montaggio video Enrico Casagrande, Daniela Nicolò
Angela Sciavilla
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