Scoprire nuovi teatri a volte diviene un
impulso imprescindibile. Una specie di gioco calamita dal quale risulta
impossibile sottrarsi. Arrivi a volerne scoprire ogni più minimo frammento,
mettendo a nudo l'ingranaggio che lo governa, che lo anima, che gli conferisce
forza vitale. E mentre ne annusi gli odori, ne scopri le forme, ne traduci i
messaggi, cerchi di soddisfare le lampadine dei perché che si accendono nella
tua mente e non si spengono, rimanendo purtroppo senza risposte, tenti di unire
i punti che si trasformano in linee, e di unire le linee che divengono forma.
Ma si tratta di una forma pura, astratta, immateriale, alla ricerca di un
proprio senso: una ricerca quindi esistenziale.
Accostarsi agli spettacoli Materia Prima e Sur
de Europa: días de amor difíciles, della compagnia madrilena di teatro
sperimentale La Tristura, significa proprio tutto questo: immergersi, nel tentativo
di orientarsi, non solo nei meandri della vita, ma anche nei pensieri del
cervello umano che a volte sgorgano senza freno, in una corrente invadente,
impetuosa, difficile da arginare. Insinuarsi in essi vuol dire anche
confrontarsi letteralmente con la tessitura storica della compagnia, che ha deciso
di celebrare il proprio decimo compleanno con una rassegna di tre settimane di
spettacoli. Per tracciare un punto zero, una fine che vorrebbe forse tentare di
proporsi come un nuovo inizio.
Materia Prima appare fin dall’inizio come il
tentativo di fermare il tempo e tornare ad essere ragazzi, con i ricordi di chi
ormai ha già passato quell'età. In scena ci si ritrova così di fronte a quattro
adolescenti che vivono una giornata che appare essere lunga quanto una vita. Si
susseguono amanecer, mediodìa, atardecer e noche (alba, mezzogiorno, tramonto,
notte): sono i tempi in cui Siro, Candela, Gonzalo e Ginebra si ritrovano a confrontarsi
con il senso della vita. Le loro parole si intrecciano con quelle di uno
schermo posto sul fondo della scena, che dunque interagisce a volte con le
azioni dei quattro ragazzi: sono le parole degli adulti, che si insinuano così
in un'età che questi ultimi hanno lasciato alle proprie spalle.
Siro immagina di viaggiare per paesi lontani,
di poter restare tutta la vita con chi ama. Si chiede poi se invece vivrà la
vita come una noia, come una morte profonda. I pensieri improvvisamente
scompaiono e tutti e quattro iniziano a giocare una partita di calcio: un
momento intenso, che li riporta ad una pura spensieratezza. Si abbandonano così
ad una lotta di colori, si dipingono l'un l'altro per poi schizzarsi d'acqua.
Ginebra inizia a raccontare la sua storia, la sensazione di trovarsi fuori dal
coro, descrive i nemici del colegio (scuola), tentando di immaginare come
saranno i suoi compagni di classe quando diventeranno adulti: persone
sobillatrici, capaci di manipolare gli altri. E mentre si svela, raccontando e
cercando di pensare come potrà essere il suo futuro, trascina con sé un lungo
mantello rosso che a sua volta ricopre rumorosamente tutto ciò che incontra,
quasi fosse un velo inesorabile del tempo.
Si arriva così alla sera: le lanternine
colorate di una festa si accendono e i ragazzi iniziano a ballare, nella
frenesia del canto, del muoversi come cellule impazzite, dell'abbandonarsi al
ritmo incalzante della musica. Poi le luci della notte si spengono, ne resta
accesa solo una che illumina ciascuno di loro. La luce che forse li
accompagnerà nel futuro, che ne disegnerà le vite. «Il nostro primo giorno se
ne è andato. Continua a venire qui per viverlo. Continua ad ardere di vita».
Infine il buio.
Materia Prima appare chiaramente come un lungo
dialogo tra due età: quella degli adulti e quella dei ragazzi, un continuo
botta e risposta tra le domande dei primi e le risposte dei secondi.
Latente il desiderio di trovare un nuovo modo
di vivere per chi si affaccia ad una delle età più frastagliate ed enigmatiche
della vita. Gli occhi degli adulti invece si proiettano come lunghi fari che
cercano di illuminare il cammino, di reinterpretare i gesti, gli amori, le
delusioni, le gioie che hanno lasciato dietro di sé una polvere sottile, di cui
ora resta solo una nebulosa di ricordi. Che attende di trasformarsi in altro.
Che attende di incontrare risposte.
L'impressione è quella di trovarsi di fronte
ad adolescenti messaggeri, investiti del compito di fornire un nuovo senso ad
azioni e valori, cosa che chi li ha preceduti non è stato in grado di fare fino
in fondo. Tradotto, gli adolescenti sono chiamati a trasformare il passato
degli adulti che cercano invece semplicemente di non immobilizzarsi di fronte
al futuro. Spesso lo spettatore rischia di perdersi in questo scambio, non
riuscendo a distinguere se si trova di fronte realmente ad adolescenti o invece
ad adolescenti che parlano, giocano, ridono con le parole degli adulti. A
tratti pare di assistere in scena ad uno sconfinamento tra due età, adolescenza
ed età matura, e il tentativo di riuscire
a distinguerne realmente i contorni viene disatteso. Si tratta infatti di un
confine labile, facile da infrangere: il rischio è dunque quello di produrre
una confusione di intenti, tale da
generare un disorientamento nello spettatore.
Anche El sur de Europa: dìas de amor dificiles
propone una ricerca esistenziale sulla vita, tracciando una strada che porti a
possibili risposte sull'amore e sulle varie possibilità che gli uomini incontrano durante la loro esistenza.
All'ingresso il pubblico viene dotato di
cuffie con cui dovrà ascoltare lo spettacolo per due terzi della sua durata
(prima e terza parte dell’allestimento diviso in tre atti). Inizia dunque un
altro gioco, al buio, con la voce di Gonzalo, il ragazzo dello spettacolo di
Materia Prima, che fornisce indicazioni dettagliate sull'utilizzo delle cuffie.
Un filo invisibile unisce i due spettacoli.
Dalle cuffie, ancora immersi nel buio,
iniziamo a sentire le voci di un ragazzo ed una ragazza. Si sono dati
appuntamento per partire, un viaggio come ex fidanzati. Parlano, si raccontano,
ricordano i momenti vissuti insieme, si confidano sul perché il loro rapporto
non fosse funzionato, sull'impossibilità di ricominciare ora, ma anche sulla
necessità di continuare a sognare e cercare di congelare quell'anelito di
illusione. Una semioscurità avvolge la scena, in cui si intravedono le due
figure, sedute spalle alla platea, mentre ammirano le onde del mare una volta
arrivati a destinazione. Lui chiede a lei di dirgli quello che vuole sentirsi
dire. Lei lo fa. Restano così sospesi in questa dipendenza caratteristica
dell'essere umano di voler vivere nella sicurezza, di crogiolarsi nella
presunta esistenza di certezze.
La seconda parte si apre in totale opposizione
alla prima: via le cuffie, inizia la musica, la scena diventa uno spazio in cui
sei amici si sono dati appuntamento per continuare a ballare e cantare
freneticamente. Fino ad arrestarsi immobili ed impotenti al suolo. Tutto
aleggia nel vuoto, nel niente, in una confusione insensata ed equivalente al
silenzio avvolgente ed inquietante che chiude questa seconda parte.
Nel terzo ed ultimo atto gli spettatori
tornano alle loro cuffie: in scena appare Chiara Bersani, attrice e creatrice
italiana, che, in una notte di pensieri malinconici, dialoga al telefono con un
suo ipotetico amore. Racconta come ormai il tempo sia finito, come lei non
possa più stare con lui. Confida di aver vissuto sempre pensando al futuro ma
ora il futuro è arrivato trovandola impreparata. Non ha più nulla con cui ricominciare,
per cui può semplicemente assumere il rischio di perdere tutto lungo il
percorso. E poi la notte se ne va, torna il mattino. Ora di ripartire, ora di
salutare, ora di andarsene. Ciao.
El sur de Europa: dias de amor dificiles
rappresenta la tematica dello scontro con il nulla, con i tasselli di tutte le
risposte mancanti che ciascuno porta con sé per tutta la vita. Il tentativo è
quello di liberare i corpi, le emozioni dello spettatore dalle proprie
responsabilità come individuo per riuscire a trasformarlo in un essere leggero,
che si riconosca pienamente nella sua vulnerabilità.
L’allestimento intende così porsi lo scopo di
proporre allo spettatore delle strategie di difesa dalle proprie paure (come
quella di essere abbandonato al proprio destino) e dallo scorrere inesorabile
di un tempo che rischia di produrre solo echi vuoti. La compagnia intende
raggiungere quest’obiettivo in un'ottica di intima vicinanza con il pubblico (di
qui l'utilizzo delle cuffie), desiderando che il racconto di quanto accade
arrivi direttamente a lui: così la narrazione è certo collettiva, ma intende
toccare nel profondo ogni spettatore.
Oltre a voler essere un discorso generico
sulla vita, La Tristura parla anche di sé stessa: una compagnia che si vede
arrivata ad un punto zero, da cui non sa se ripartirà.
Se lo farà, come raccontano i componenti Celso
Jimenez, Violeta Gil, e Rafa Alberola, sarà per creare qualcosa di nuovo, che
si distacchi da un modo di fare teatro che ormai conoscono minuziosamente. Si
ritrovano così in una necessità di vedersi in modo differente, di trovare nuove
ispirazioni, nuovi punti da cui ripartire.
«Tornare ad iniziare significa uscire dalla
sospensione, ristabilire il contatto tra i nostri divenire. Partire di nuovo,
da dove stiamo, ora».
A questo punto resta aperta una domanda,
ovvero quale possa essere il divenire per il lavoro teatrale della compagnia,
quale soprattutto il suo rapporto con la vita, in un lavoro che spesso, nel
tentativo di comprendere e comprendersi, rischia di sfociare in un
esistenzialismo a senso unico.
La necessità continua di ridefinizione di
nuove vie è fondamentale. Solo che per La Tristura, per poter ripartire senza
più cortocircuiti, si rivela forse indispensabile abbandonare un mondo di
sentimenti, emozioni, in cui il rischio risulta spesso quello di cadere
nell'autorappresentazione: necessario dunque saper osare, tracciando un confine
preciso tra teatro e vita.
Visti il 6 e 7 Febbraio al Teatro Pradillo di
Madrid
Carmen Pedullà
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