sabato 22 febbraio 2014

Lettura di un copione che incrocia la vita: il teatro-biblioteca de Catalunya

Alzi la mano chi non ha mai annusato l'odore di una biblioteca, o attraversato con lo sguardo i suoi corridoi costellati di scaffali e scaffali di libri, o divorato tomi di storia protetto dal silenzio del tavolo posto nell'angolo più remoto della sala: un tuffo di pura astrazione non solo nelle pagine dei libri, ma nell'osservazione di ogni più piccola minuzia che ti circonda.
Bene, le lettere che scolpiscono lo spazio bianco del foglio, che si traducono in senso, forma e perché no, che nutrono e colorano l'immaginario, esistono per i divoratori di libri o per i passanti, per gli habitué o per chi attraversa il mondo delle biblioteche solo per caso, senza il desiderio di volersi trattenere per troppo tempo. Ritroviamo queste lettere, trasportate dal vento dell'immaginazione, del desiderio di esplorare, direttamente su un tavolo di legno chiaroscuro, posto al centro della sala di una biblioteca.


Ecco il primo elemento essenziale, indispensabile, che caratterizza Quiet Volume (Il libro silenzioso), una creazione teatrale enigmatica dei registi Ant Hampton e Tim Etchells:  un tavolo che assume su di sé tutta la funzione scenica di questo “spettacolo”, ospitando la lettura di due spettatori-partecipanti che, guidati dalle istruzioni di due iPod, si immergono in un viaggio tra le parole sussurrate nelle cuffie e quelle contenute in alcuni libri, i soli elementi scenici insieme al tavolo. Si origina un cortocircuito tra l'ascolto della voce guida che legge le parole del libro e la lettura mentale dello “spett-attore”, suo tramite con il mondo di idee, ricordi, sensazioni, immagini sedimentate nello strato più profondo dell'io.
Chiamato ad unire gli elementi di una partitura drammaturgica frastagliata, il partecipante diviene unico creatore-attore del momento scenico. I due lettori-partecipanti si trovano a “vivere” dunque non tanto uno spettacolo, quanto piuttosto un viaggio all'interno del mondo di silenzi e sussurrii di una biblioteca.
Tutto ciò che si trova oltre e attorno al tavolo continua ad appartenere al mondo dei libri e resta perciò immerso nel suo brulichio quotidiano: chi continua a leggere, chi cerca tra gli scaffali dei libri. Sul tavolo campeggia solo una scritta: Spai riservat (Spazio riservato). Alla scoperta esclusiva dei due viaggiatori di teatro.
Nulla potrebbe essere più distante dalle consuetudini teatrali: nessuna fila per entrare, nessuna atmosfera da foyer, nessuna poltroncina rossa su cui sedersi, nessun attore da applaudire, nessun pubblico. Tuttavia, pur non essendoci tutti questi elementi, i due partecipanti percepiscono già dall'ingresso nella biblioteca di essere entrati a far parte, come ingranaggi, della macchina teatrale: lo spettatore si sente investito di una “responsabilità”.
Gli spettatori entrano due alla volta, prendendo così parte all’allestimento: la creazione teatrale viene infatti ripetuta ogni cinquanta minuti circa. Un inserviente invita a leggere un piccolo foglio con alcune istruzioni: «Leggi lentamente, non darti fretta, segui le indicazioni recitate dalla guida e quelle scritte».
Mentre i due partecipanti camminano tra i corridoi stretti della biblioteca, lo sguardo è attratto irresistibilmente dall’osservazione dei veri componenti di questo micro-mondo: chi lavora al computer, chi studia, chi legge.
Una volta arrivati nella sala deputata ad accogliere la creazione teatrale, ecco la scoperta: due sedie, un tavolo, due iPod e quattro libri sui due lati della scrivania formano, in una parola, la scena.
I due partecipanti indossano l'iPod, sedendosi, e dopo che l'inserviente attiva il dispositivo tecnologico, inizia l'attesa per la fase successiva: un tempo necessario per prendere consapevolezza della propria nuova posizione nello spazio, nonché far crescere la curiosità per quello che sta per accadere, per la forma che Quiet Volume si ritroverà ad assumere.
Una voce nelle cuffie attira l’ascolto del partecipante, sussurrando lentamente alcune parole: una sorta di guida illustra l’ambiente della sala della biblioteca, un mondo cadenzato da un proprio ritmo, da propri rituali, da un silenzio apparente, dietro il quale si cela una costellazione di rumori – i passi sul pavimento, lo sfogliare delle pagine, i colpi di tosse e i tentativi di reprimerli. La voce, in questa prima fase, non fa altro che descrivere il funzionamento interno ad un mondo. Si rivolge al partecipante definendolo impostore: attraverso la lettura dei libri egli ruba, sottrae, cela, sceglie, definisce le parole, modificando e “tradendo” dunque il senso complessivo di un'opera.


La guida invita poi lo spett-attore a prendere un libriccino rosso, vero e proprio guiòn (copione) del viaggio, e ad iniziare a leggerlo. La voce dell'iPod recita le prime parole scritte nella pagina, per poi tacere di colpo. Il partecipante continua a leggere da solo: le parole del libro completano il discorso della voce, spiegando come, con la sua scomparsa, la lettura tornerà ad essere più veloce, propria del ritmo del lettore, anche se la cadenza del sussurrio continuerà a restare nelle orecchie di chi sta leggendo.
Sfogliando via via le pagine, il lettore si imbatte in alcune di esse completamente bianche. Ecco riapparire la voce-guida che suggerisce di porre la propria mano sul foglio bianco, di osservarla e confrontare la composizione della pelle con quella della pagina.
Lo sguardo si trova poi a cadere su alcuni fogli in cui intravede nuovamente delle parole, però questa volta completamente sfuocate, e quindi illeggibili. Il senso indecifrabile delle parole viene così colmato dalla voce-guida: «E se davvero le parole venissero completamente cancellate? E se esistessero lettere e sillabe anche nei fogli bianchi, e fossimo semplicemente noi incapaci di leggerle?».
Accompagnato dalla guida nelle cuffie, il partecipante inizia a leggere la pagina di uno dei volumi riposti sul tavolo, dalla copertina verde. Ecco uno dei momenti centrali del viaggio: il partecipante viene invitato a condividere la lettura con il proprio compagno. La voce dell'iPod inizia a saltare di pagina in pagina e ognuno dei due partecipanti, alternandosi in base alle istruzioni, viene invitato ad indicare con il proprio dito, al compagno, la parola pronunciata dalla misteriosa guida.
Spesso, durante la lettura comune del libro, la voce-guida dell'iPod differisce nelle istruzioni tra i due partecipanti: quando indica una cosa ad uno, l'altro sente solo un brulichio di voci, suoni che gli impediscono di concentrarsi nella lettura del libro. Il dito del compagno che indica diventa dunque l'orecchio per chi non riesce a sentire.
I due lettori hanno a questo punto la sensazione di compiere una strana danza tra dito, occhio, orecchio ed immaginazione, dove il dito, seguendo nel suo incedere le righe del testo, diviene sia per il partecipante che compie il gesto sia per l'altro che non sente, l'indicatore del tempo: trasforma dunque il ritmo abituale di lettura di ciascun partecipante, ritardandolo ed estendendolo.


Il racconto con cui entrambi gli spett-attori si confrontano, a questo punto, parla di alcuni bambini e della loro incapacità di leggere: le voci di due scolari iniziano così ad accompagnare la lettura. Si tratta di una lettura frammentata, tipica di chi per la prima volta si confronta con l'immensità di un mondo che appare irraggiungibile per la maestosità delle parole, delle sillabe, dei suoni complicati da pronunciare.
Una volta terminata questa storia, la voce-guida cambia nuovamente: dalle cuffie si materializza un rumore intenso, simile a quello di innumerevoli pagine che sbattono l'una contro l'altra nello stesso momento, che si unisce alla voce roca di una signora anziana che a tratti biascica e fatica a comporre le parole in maniera distinta.
Torniamo al libro rosso, il guiòn principale, mentre i rumori dalle cuffie dell'iPod si fanno sempre più forti, simili a raffiche di vento che destabilizzano la concentrazione del lettore. Uno dei due partecipanti pone il copione al centro del tavolo, accanto a quello del proprio compagno: ognuno dovrà infatti continuare a leggere dalla pagina del libro dell'altro, indicando con il dito le parole. Ciò comporta un vero e proprio incrocio-incontro con il compagno: con le braccia, le dita, gli sguardi, perché diventa necessario trovare, in relazione a chi si trova di fianco, il proprio posto nello spazio, tale da permettere la lettura. Questa difficoltà nel cercare la propria postura ricorda per affinità la matassa aggrovigliata provocata da una lettura che mira a scomporre le parole.

Giunge infine il momento di togliersi le cuffie. Una fine che sembra proporre un ulteriore inizio: lo spett-attore continua a restare in ascolto delle parole che giungono dal guión. Riemersi dalla profondità della lettura, continuiamo a galleggiare in uno pseudo equilibrio, sulle onde ritmate dal mondo dei libri. Alziamo infatti lo sguardo, distogliendo l'attenzione dalle lettere e riprendendo così contatto con la sala della biblioteca: le domande iniziano a farsi strada nella mente dopo un’esperienza così intensa, e il primo impulso è quello di cercare con lo sguardo un contatto con chi, in quella biblioteca, è stato solo una presenza passiva, senza quindi potersi rendere conto del nostro “viaggio”. Ecco le ultime parole: «Chiudi il libro e vai, senza fretta, con il tuo tempo».
Riponiamo il volume nell'angolo della scrivania, ci alziamo e andiamo via. Mentre i passi tornano a calpestare il pavimento della biblioteca, l’orecchio continua a restare in ascolto e sembra quasi sentire, da quell'illusoria quanto reale finestra di lettere e parole, il rumore delle pagine che si strofinano l'una contro l'altra. Per il lettore-attore, per il disegnatore di immaginari, si sta chiudendo la porta di una galassia eterea ma al contempo visibile e tangibile.

Quiet Volume squarcia due mondi, quello delle biblioteche e quello dei teatri: rappresenta così il tentativo, per ognuno dei due universi, di scoprire e scoprirsi tramite l’altro. L’allestimento propone un viaggio-esperienza compiuto da ciascun partecipante tramite un mezzo tecnologico: l’idea di utilizzare l’iPod con relativa pseudo guida, come componente drammaturgica della creazione, si rivela geniale.
Una guida super partes che, in sinergia al copione scritto, ai brani dei libri selezionati di volta in volta, alle azioni dei due spett-attori, segna il ritmo: l'avanzare nella lettura, il ritornare indietro nel tempo quando si tratta di evocare i ricordi, l'incedere quando invece viene alimentata l'immaginazione.
Da elementi quali la voce dell'iPod, le parole dei libri, le immagini proposte di volta in volta al partecipante, ne fuoriesce la composizione di una drammaturgia multiforme.

Un punto cardine della creazione consiste senz’altro nell'aver trasformato il momento scenico in un micro-mondo che può definirsi nei confini di un tavolo con alcuni libri, senza necessità di un'articolazione scenografica onnipotente. Uno sguardo illuminante inserisce la rappresentazione all'interno del suo mondo originario dei libri, come se da esso, dall'immergersi nelle profondità della lettura, fosse possibile scoprire nuove vie, nuovi punti di contatto, nuovi modi di potersi guardare ed indagare reciprocamente. Uno sguardo minuzioso e attento, che, come una lente d'ingrandimento, un cannocchiale microscopico, riesce a svelare le mille sfaccettature delle pagine di questo corpo, dopo averne analizzato le molecole infinitamente piccole.
Ma è necessario sottolineare il secondo elemento imprescindibile di quest’allestimento: la simultaneità dell'occorrere del fatto teatrale con la normale attività di una biblioteca nel suo via vai, come luogo abituale di studio e di lettura. Al tempo dell’evento spettacolare si affianca dunque costantemente il tempo della sala di lettura.


Si origina inoltre un rapporto innovativo tra il corpo del partecipante, il dispositivo tecnologico e i diversi libri con cui lo spett-attore è chiamato a confrontarsi. Con i gesti, i sospiri, gli sguardi, i partecipanti divengono traduttori ed interpreti della miriade di segni che si celano sia all'interno del guión, sia al contempo nel mondo con il quale essi si stanno relazionando.
Lo sguardo rivoluzionario, dei due registi  sconvolge dunque anche la percezione di chi si trova immerso in Quiet Volume. Il suo non è più corpo agito ma diventa attore, in quanto si relaziona con la tessitura drammaturgica e registica, ne traduce i messaggi, ne compie le azioni. Il limite dell'osservazione viene oltrepassato per il fine rischioso di connotare di altre sfumature e di significati nuovi “l'agire”.
La strada intrapresa dai registi Ant Hampton e Tim Ecthells si dirige verso una direzione teatrale lungimirante, che dimostra,  cara a cara (faccia a faccia), cosa significhi non solo avanzare nella miarda (nello sguardo), ma oltrepassare le sue stesse barriere.
Alle volte, laddove le porte di un mondo, anche piccolo, paiono essere chiuse ermeticamente, si estendono oltre infiniti orizzonti che attendono di essere tracciati.


Visto alla Biblioteca de Catalunya
Barcellona, 14 febbraio 2014

Carmen Pedullà

Nessun commento:

Posta un commento