Alzi la mano chi
non ha mai annusato l'odore di una biblioteca, o attraversato con lo sguardo i
suoi corridoi costellati di scaffali e scaffali di libri, o divorato tomi di
storia protetto dal silenzio del tavolo posto nell'angolo più remoto della
sala: un tuffo di pura astrazione non solo nelle pagine dei libri, ma
nell'osservazione di ogni più piccola minuzia che ti circonda.
Bene, le lettere
che scolpiscono lo spazio bianco del foglio, che si traducono in senso, forma e
perché no, che nutrono e colorano l'immaginario, esistono per i divoratori di
libri o per i passanti, per gli habitué o per chi attraversa il mondo delle
biblioteche solo per caso, senza il desiderio di volersi trattenere per troppo
tempo. Ritroviamo queste lettere, trasportate dal vento dell'immaginazione, del desiderio di
esplorare, direttamente su un tavolo di legno chiaroscuro, posto al centro
della sala di una biblioteca.
Ecco il primo
elemento essenziale, indispensabile, che caratterizza Quiet Volume (Il libro silenzioso), una creazione teatrale
enigmatica dei registi Ant Hampton e Tim Etchells: un tavolo che assume su di sé tutta la
funzione scenica di questo “spettacolo”, ospitando la lettura di due spettatori-partecipanti
che, guidati dalle istruzioni di due iPod, si immergono in un viaggio tra le
parole sussurrate nelle cuffie e quelle contenute in alcuni libri, i soli
elementi scenici insieme al tavolo. Si origina un cortocircuito tra l'ascolto
della voce guida che legge le parole del libro e la lettura mentale dello
“spett-attore”, suo tramite con il mondo di idee, ricordi, sensazioni, immagini
sedimentate nello strato più profondo dell'io.
Chiamato ad unire
gli elementi di una partitura drammaturgica frastagliata, il partecipante
diviene unico creatore-attore del momento scenico. I due lettori-partecipanti
si trovano a “vivere” dunque
non tanto uno spettacolo, quanto piuttosto un viaggio all'interno del mondo di
silenzi e sussurrii di una biblioteca.
Tutto ciò che si trova oltre e
attorno al tavolo continua ad appartenere al mondo dei libri e resta perciò immerso nel suo
brulichio quotidiano: chi continua a leggere, chi cerca tra gli scaffali dei
libri. Sul tavolo campeggia solo una scritta: Spai riservat (Spazio
riservato). Alla scoperta esclusiva dei due viaggiatori di teatro.
Nulla potrebbe
essere più distante dalle consuetudini teatrali: nessuna fila per entrare,
nessuna atmosfera da foyer, nessuna poltroncina rossa su cui sedersi, nessun
attore da applaudire, nessun pubblico. Tuttavia, pur non essendoci tutti questi
elementi, i due partecipanti percepiscono già dall'ingresso nella biblioteca di
essere entrati a far parte, come ingranaggi, della macchina teatrale: lo
spettatore si sente investito di una “responsabilità”.
Gli spettatori
entrano due alla volta, prendendo così
parte all’allestimento: la creazione teatrale viene infatti ripetuta ogni
cinquanta minuti circa. Un inserviente invita a leggere un piccolo foglio con
alcune istruzioni: «Leggi lentamente, non darti fretta, segui le indicazioni
recitate dalla guida e quelle scritte».
Mentre i due
partecipanti camminano tra i corridoi stretti della biblioteca, lo sguardo è
attratto irresistibilmente dall’osservazione dei veri componenti di questo micro-mondo: chi lavora al computer,
chi studia, chi legge.
Una volta
arrivati nella sala deputata ad accogliere la creazione teatrale, ecco la
scoperta: due sedie, un tavolo, due iPod e quattro libri sui due lati della
scrivania formano, in una parola, la scena.
I due
partecipanti indossano l'iPod, sedendosi, e dopo che l'inserviente attiva il
dispositivo tecnologico, inizia l'attesa per la fase successiva: un tempo
necessario per prendere consapevolezza della propria nuova posizione nello
spazio, nonché far crescere la curiosità per quello che sta per accadere, per
la forma che Quiet Volume si ritroverà ad assumere.
Una voce nelle
cuffie attira l’ascolto del partecipante, sussurrando lentamente alcune parole:
una sorta di guida illustra l’ambiente della sala della biblioteca, un mondo
cadenzato da un proprio ritmo, da propri rituali, da un silenzio apparente,
dietro il quale si cela una costellazione di rumori – i passi sul pavimento, lo
sfogliare delle pagine, i colpi di tosse e i tentativi di reprimerli. La voce,
in questa prima fase, non fa altro che descrivere il funzionamento interno ad
un mondo. Si rivolge al partecipante definendolo impostore: attraverso la
lettura dei libri egli ruba, sottrae, cela, sceglie, definisce le parole,
modificando e “tradendo” dunque il senso complessivo di un'opera.
La guida invita poi
lo spett-attore a prendere un libriccino rosso, vero e proprio guiòn (copione) del viaggio, e ad
iniziare a leggerlo. La voce dell'iPod recita le prime parole scritte nella
pagina, per poi tacere di colpo. Il partecipante continua a leggere da solo: le
parole del libro completano il discorso della voce, spiegando come, con la sua
scomparsa, la lettura tornerà ad essere più veloce, propria del ritmo del
lettore, anche se la cadenza del sussurrio continuerà a restare nelle orecchie
di chi sta leggendo.
Sfogliando via
via le pagine, il lettore si imbatte in alcune di esse completamente bianche.
Ecco riapparire la voce-guida che suggerisce di porre la propria mano sul
foglio bianco, di osservarla e confrontare la composizione della pelle con
quella della pagina.
Lo sguardo si
trova poi a cadere su alcuni fogli in cui intravede nuovamente delle parole,
però questa volta completamente sfuocate, e quindi illeggibili. Il senso
indecifrabile delle parole viene così colmato dalla voce-guida: «E se davvero
le parole venissero completamente cancellate? E se esistessero lettere e
sillabe anche nei fogli bianchi, e fossimo semplicemente noi incapaci di
leggerle?».
Accompagnato
dalla guida nelle cuffie, il partecipante inizia a leggere la pagina di uno dei
volumi riposti sul tavolo, dalla copertina verde. Ecco uno dei momenti centrali
del viaggio: il partecipante viene invitato a condividere la lettura con il
proprio compagno. La voce dell'iPod inizia a saltare di pagina in pagina e
ognuno dei due partecipanti, alternandosi in base alle istruzioni, viene
invitato ad indicare con il proprio dito, al compagno, la parola pronunciata
dalla misteriosa guida.
Spesso, durante
la lettura comune del libro, la voce-guida dell'iPod differisce nelle
istruzioni tra i due partecipanti: quando indica una cosa ad uno, l'altro sente
solo un brulichio di voci, suoni che gli impediscono di concentrarsi nella
lettura del libro. Il dito del compagno che indica diventa dunque l'orecchio
per chi non riesce a sentire.
I due lettori
hanno a questo punto la sensazione di compiere una strana danza tra dito,
occhio, orecchio ed immaginazione, dove il dito, seguendo nel suo incedere le
righe del testo, diviene sia per il partecipante che compie il gesto sia per
l'altro che non sente, l'indicatore del tempo: trasforma dunque il ritmo
abituale di lettura di ciascun partecipante, ritardandolo ed estendendolo.
Il racconto con
cui entrambi gli spett-attori si confrontano, a questo punto, parla di alcuni
bambini e della loro incapacità di leggere: le voci di due scolari iniziano
così ad accompagnare la lettura. Si tratta di una lettura frammentata, tipica
di chi per la prima volta si confronta con l'immensità di un mondo che appare
irraggiungibile per la maestosità delle parole, delle sillabe, dei suoni
complicati da pronunciare.
Una volta
terminata questa storia, la voce-guida cambia nuovamente: dalle cuffie si
materializza un rumore intenso, simile a quello di innumerevoli pagine che
sbattono l'una contro l'altra nello stesso momento, che si unisce alla voce
roca di una signora anziana che a tratti biascica e fatica a comporre le parole
in maniera distinta.
Torniamo al libro
rosso, il guiòn principale, mentre i rumori dalle cuffie dell'iPod si
fanno sempre più forti, simili a raffiche di vento che destabilizzano la
concentrazione del lettore. Uno dei due partecipanti pone il copione al centro del tavolo,
accanto a quello del proprio compagno: ognuno dovrà infatti continuare a
leggere dalla pagina del libro dell'altro, indicando con il dito le parole. Ciò comporta un vero e
proprio incrocio-incontro con il compagno: con le braccia, le dita, gli
sguardi, perché diventa necessario trovare, in relazione a chi si trova di
fianco, il proprio posto nello spazio, tale da permettere la lettura. Questa difficoltà
nel cercare la propria postura ricorda per affinità la matassa aggrovigliata
provocata da una lettura che mira a scomporre le parole.
Giunge infine il
momento di togliersi le cuffie. Una fine che sembra proporre un ulteriore
inizio: lo spett-attore continua a restare in ascolto delle parole che giungono
dal guión. Riemersi dalla profondità della
lettura, continuiamo a galleggiare in uno pseudo equilibrio, sulle onde ritmate
dal mondo dei libri. Alziamo infatti
lo sguardo, distogliendo l'attenzione
dalle lettere e
riprendendo così contatto con la sala della biblioteca: le domande iniziano a
farsi strada nella mente dopo un’esperienza così intensa, e il primo impulso è quello di cercare con
lo sguardo un contatto con chi, in quella biblioteca, è stato solo una presenza
passiva, senza quindi potersi rendere conto del nostro “viaggio”. Ecco le
ultime parole: «Chiudi il libro e vai, senza fretta, con il tuo tempo».
Riponiamo il
volume nell'angolo della scrivania, ci alziamo e andiamo via. Mentre i passi
tornano a calpestare il pavimento della biblioteca, l’orecchio continua a
restare in ascolto e sembra quasi sentire, da quell'illusoria quanto reale
finestra di lettere e parole, il rumore delle pagine che si strofinano l'una
contro l'altra. Per il lettore-attore, per il disegnatore di immaginari, si sta
chiudendo la porta di una galassia eterea ma al contempo visibile e tangibile.
Quiet Volume squarcia
due mondi, quello delle biblioteche e quello dei teatri: rappresenta così il tentativo, per
ognuno dei due universi, di scoprire e scoprirsi tramite l’altro.
L’allestimento propone un viaggio-esperienza compiuto da ciascun partecipante
tramite un mezzo tecnologico: l’idea di utilizzare l’iPod con relativa pseudo guida, come
componente drammaturgica della creazione, si rivela geniale.
Una guida super
partes che, in sinergia al copione scritto, ai brani dei libri selezionati di
volta in volta, alle azioni dei due spett-attori, segna il ritmo: l'avanzare
nella lettura, il ritornare indietro nel tempo quando si tratta di evocare i
ricordi, l'incedere quando invece viene alimentata l'immaginazione.
Da elementi quali
la voce dell'iPod, le parole dei libri, le immagini proposte di volta in volta
al partecipante, ne fuoriesce la composizione di una drammaturgia multiforme.
Un punto cardine
della creazione consiste senz’altro nell'aver trasformato il momento scenico in
un micro-mondo che può definirsi nei confini di un tavolo con alcuni libri,
senza necessità di un'articolazione scenografica onnipotente. Uno sguardo illuminante inserisce la
rappresentazione all'interno del suo mondo originario dei libri, come se da
esso, dall'immergersi nelle profondità della lettura, fosse possibile scoprire
nuove vie, nuovi punti di contatto, nuovi modi di potersi guardare ed indagare
reciprocamente. Uno sguardo minuzioso e attento, che, come una lente
d'ingrandimento, un cannocchiale microscopico, riesce a svelare le mille sfaccettature
delle pagine di questo corpo, dopo averne analizzato le molecole infinitamente
piccole.
Ma è necessario
sottolineare il secondo elemento imprescindibile di quest’allestimento: la
simultaneità dell'occorrere del fatto teatrale con la normale attività di una
biblioteca nel suo via vai, come luogo abituale di studio e di lettura. Al
tempo dell’evento spettacolare si affianca dunque costantemente il tempo della
sala di lettura.
Si origina
inoltre un rapporto innovativo tra il corpo del partecipante, il dispositivo
tecnologico e i diversi libri con cui lo spett-attore è chiamato a
confrontarsi. Con i gesti, i sospiri, gli sguardi, i partecipanti divengono
traduttori ed interpreti della miriade di segni che si celano sia all'interno
del guión, sia al
contempo nel mondo con il quale essi si stanno relazionando.
Lo sguardo rivoluzionario, dei due registi sconvolge dunque anche la percezione di chi si trova immerso in Quiet Volume. Il
suo non è più corpo agito ma diventa attore, in quanto si relaziona con la
tessitura drammaturgica e registica, ne traduce i messaggi, ne compie le
azioni. Il limite dell'osservazione
viene oltrepassato per il fine rischioso di connotare di altre sfumature e di significati nuovi “l'agire”.
La strada
intrapresa dai registi Ant Hampton e
Tim Ecthells si dirige verso una
direzione teatrale lungimirante, che dimostra,
cara a cara (faccia a
faccia), cosa significhi non solo avanzare nella miarda (nello
sguardo), ma oltrepassare le sue stesse barriere.
Alle volte,
laddove le porte di un mondo, anche piccolo, paiono essere chiuse
ermeticamente, si estendono oltre infiniti orizzonti che attendono di essere
tracciati.
Visto alla
Biblioteca de Catalunya
Barcellona, 14 febbraio 2014
Carmen Pedullà
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