Chi conosce il teatro di Dario Fo (e risulta
difficile non sapere almeno il nome del premio Nobel), sa cosa aspettarsi: una
bellissima parabola, una lezione di storia popolare, lontana da ogni canone
ufficiale e arricchita con lazzi fisici e verbali caratteristici del grande
maestro. E quale migliore parabola se non quella del suo alter ego Francesco,
il santo, ma anche giullare di Dio?
A quasi 88 anni – a giorni il suo compleanno,
confida agli spettatori che gli regalano uno dei tanti fragorosi applausi –
l’attore riesce ancora a tenere con facilità il pubblico, grazie a una gestica
semplice (per forza di cose), ma precisa e pulita come sempre, grazie a un
senso del tempo di attenzione della belva da domare in platea, grazie al mix
folgorante e inventivo di dialetti con cui infarcisce anche questo spettacolo.
Come negli ultimi allestimenti – basti pensare al recente Fuga dal senato – il
palco presenta una delle tele che Fo ha dipinto con gli allievi dell’accademia
di Brera: un dipinto molto grande, che ricorda per certi versi lo stile di
Bosch e per altri il cubismo, ma l’atmosfera è molto più celeste, quasi epica,
visto che vediamo “la scarruccata”, ovvero la caduta delle torri da parte dei
ribelli guidati da san Francesco, come spiega lo stesso Fo.
Oltre alla tela,
Fo, insieme a due collaboratrici, mostrerà per tutto lo spettacolo dei disegni
e dipinti sulla storia di San Francesco, che poi ripone su un leggio che sembra
uscito fuori da un monastero. Così facendo riprende lo stesso stile pedagogico
della Chiesa ai suoi albori, quando doveva illustrare i Vangeli al popolo
analfabeta.
Com’è solito fare Fo, lo spettacolo è
introdotto da questa lezione sulla vita di san Francesco e sull’attualità del
suo modello. Non a caso, spiega l’attore magari idealizzando un po’ il
personaggio di riferimento, papa Bergoglio ha deciso di adottare il nome di san
Francesco, cercando di seguirne l’esempio. Dopo questa lezione inizia il vero e
proprio spettacolo, in cui Fo racconta alcuni aneddoti della vita di san
Francesco meno conosciuti e censurati dalla versione ufficiale tramandata dalla
Chiesa. Fuoriesce così un personaggio molto più brioso, giocondo, provocatorio
ma affascinante. Come Fo, anche san Francesco si rivela un vero e proprio
affabulatore: dimostra quest’arte ad esempio durante un matrimonio, raccontando
della trasformazione dell’acqua in vino da parte di Gesù Cristo durante le
nozze di Cana. S’innesca così un mirabolante meccanismo da Le mille e una
notte, come quando il papa Innocenzo terzo racconta a san Francesco della
moltiplicazione dei pani e dei pesci da parte del Salvatore.
In sostanza Dario Fo riesce in modo ammirevole
a lasciare ancora una volta senza fiato gli spettatori, a catturarne
l’attenzione, con uno spettacolo che, seppur storico, mostra ancora e sempre
l’attualità di una figura come san Francesco. L’attore, con la sua arte
affabulatoria, dimostra come ancora oggi sia necessario un predicatore giullare
che ci illumini con le sue verità, anche scomode, ma quanto mai preziose.
Lo Santo Jullare Françesco,
Visto martedì 11 febbraio 2014 al Teatro Duse
Fabio Raffo
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