Buio, o quasi, all’inizio: il buio dei sogni o
dei ricordi.
Sul palco una flebile luce permette a malapena
di distinguere l’allestimento della scena. Balzano subito all’occhio una
quantità notevole di taniche, per lo più bianche, più o meno disposte a
delimitare a mo’ di quadrato la scena. Il luccicore latteo del materiale
plastico evoca uno degli elementi che per primi è “senso comune” a Napoli: i
rifiuti.
Taniche-rifiuti in cui i tre attori sguazzeranno, la donna facendole
cadere e cercando convulsamente forse la sua dose, l’uomo rotolandosi su di
esse. Oltre le taniche, delle tende trasparenti contribuiscono a fornire
un’atmosfera onirica e spettrale all’allestimento, soprattutto quando le luci
vengono sparaflashate come in una discoteca, accompagnate da una musica
rimbombante: uno dei momenti centrali della performance e più caotici, in cui
il magma dei sogni o ricordi raggiunge il suo culmine.
Sì, ricordi, perché in effetti lo spettacolo
vede come introduzione il racconto in prima persona del regista, Stefano Tè:
dopo essere entrato in scena nella semioscurità ed essersi seduto, ricorda un
fatto di camorra vissuto sulla propria pelle, uno shock adolescenziale causa
scatenante di quest’allestimento. «Ho raccontato questa storia che non vedrete
per dare il motivo di ciò che vedrete». E dopo questa frase, conclusiva del
racconto, lo spettacolo può veramente iniziare.
Un uomo e una donna, poi un altro uomo entrano
in scena. Non sembrano avere nessuna relazione tra loro, anche se spesso le
loro azioni, che si strutturano più per affinità, associazioni, analogie, che
per un vero e proprio filo logico, sono interconnesse provocando suggestivi
effetti di risonanza. Come quando l’uomo beve da una bottiglia e risputa il
liquido in un contenitore. Nello stesso momento la donna s’immerge la testa in
una bacinella, come per auto-affogarsi. Il senso comune ostruisce la gola, la
riempie, fino a far vomitare o annegare. Un senso comune elencato come una
formula rituale, una preghiera blasfema nei confronti di Napoli («Napoli
bocchinara»), di tutto ciò che è Napoli. Preghiera, perché subito prima viene
evocata l’importanza della religione per il mondo partenopeo dall’invocazione
della donna a Maria, nel buio imperante, mentre sullo sfondo un’icona della
Madonna proietta un’avvolgente luce rossa.
Un senso comune deforme, alienante, come viene
subito tratteggiato dalla danza oscena di smorfie bestiali e gesti convulsi
dell’uomo, in piedi sulla sedia a prendersi tutta la poca luce della scena,
mentre la donna di casa pulisce. Alieno diventa l’uomo che indossa un casco
nero, da killer camorrista, che pronunciando frasi in un napoletano ostico si
sbatte violentemente la pistola sul casco, mentre una musica inquietante e il
ritmo accelerato del tambureggiare del terzo attore aumentano la sensazione di
angoscia.
Un senso comune falsamente confortante e
kitsch, ostentato dalla canzone neomelodica mimata dalla donna, vestita ora di
nero, che sventola un ventaglio.
L’ipocrisia della tradizione viene svelata:
emblematico il monologo sul rituale sacro del caffè, quando l’attore mostra
però un rituale ben diverso, prendendo una siringa in mano e tagliando la
droga.
Le azioni e le potenti immagini proposte da
uno sguardo visionario ma lucido destrutturano completamente il senso comune
napoletano, mettendone a nudo il sentimento di angoscia e oppressione subiti,
che aggrediscono anche lo spettatore. La ferita è lì, aperta, come ricordano i
rumori dei bambini che giocano e schiamazzano a scuola: rumori che dovrebbero
essere gioiosi, ma che accostati alla routine sconfortante e grottesca dei tre
attori risultano tanto più inquietanti. E il teatro? No, niente catarsi: viene
anzi disprezzato dall’attore nel finale, evocando probabilmente le parole di un
prigioniero in un momento di disillusione nei confronti dell’operato sociale
della compagnia del Teatro dei Venti in carcere.
Resta dunque un’esperienza intensa,
suggestiva, intima, al di fuori di ogni senso comune.
Visto al Teatro dei Segni di Modena il 27 febbraio
2014
Senso Comune
Regia Stefano Tè
Drammaturgia Giulio Costa e Stefano Tè
Musiche Matteo Valenzi e Igino L. Caselgrandi
Con Igino L. Caselgrandi, Francesca Figini, Antonio Santangelo, Stefano Tè
Voce fuori campo Ernesto Mahieux
Drammaturgia Giulio Costa e Stefano Tè
Musiche Matteo Valenzi e Igino L. Caselgrandi
Con Igino L. Caselgrandi, Francesca Figini, Antonio Santangelo, Stefano Tè
Voce fuori campo Ernesto Mahieux
Fabio Raffo
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