giovedì 8 marzo 2012

Lo spettacolo di AR + JL: una sfida posta allo spettatore da una voce virtuale

Il palco è vuoto, la luce è accesa e sulla sinistra due tecnici del suono. Una voce registrata invita gli spettatori a prendere posto, a fare silenzio e a spegnere i cellulari. A questo punto ci si aspetta il silenzio in sala e l’entrata in scena di un attore, ma visivamente non accade nulla. La voce si fa corpo e la concretezza delle parole testo recitato da un computer maneggiato dai due tecnici. Le parole descrivono in modo maniacale e caricaturale le condizioni fisiche e tecniche della sala della “Soffitta” in cui si sta svolgendo lo spettacolo. Il pubblico è a tratti annoiato, a tratti divertito. Le parole veicolano gli sguardi degli spettatori su vari dettagli della sala e ne moltiplicano i punti di vista creando una vera e propria drammaturgia dello sguardo. Lo spettacolo si trasforma in un dialogo a tu per tu tra la voce computerizzata e le reazioni del pubblico. Qualcuno annoiato abbandona la sala. E’ una vera e propria sfida a chi resiste di più a quella voce snervante, asfissiante e a tratti soporifera. Dopo venti minuti, vengono concessi al pubblico alcuni istanti di intervallo…ma non è una vera pausa. La voce non dà tregua agli spettatori: adesso vuole istruirli sulla nozione di teatro.

Si parte dall’etimologia del termine per arrivare al cuore del meccanismo del teatro, che si dispiega pienamente con la caduta della “quarta parete” tra palco e spettatori. Lo spettatore è implicitamente chiamato a partecipare: deve “ascoltare con le orecchie, ma anche con gli occhi”. La pausa prevede anche un “rinfresco” : delle caramelle alla menta poste in una cesta ai lati del palco. Si crea un meccanismo a catena per cui, chi ne abbia voglia, può alzarsi, prendere una caramella e tornare al suo posto. Visivamente non accade ancora nulla, fino a quando i due tecnici del suono non lasciano la loro postazione per andare a occupare il centro del palco. Si tratta di Antonio Rinaldi e Jacopo Lanteri. Restano in piedi,  immobili e muti. Non accade ancora nulla. La voce computerizzata ne rivela l’identità: sono proprio gli autori dello spettacolo La Camera degli Sposi. Lo spettacolo si inserisce nel progetto di performing arts AR + JL da essi creato nel 2010. Chiude altresì il ciclo di incontri del progetto IN ASSENZA promosso dalla Soffitta di Bologna. Questo progetto intende rivisitare esperienze del Nuovo Teatro italiano degli anni Sessanta attraverso i linguaggi del teatro contemporaneo. Il titolo IN ASSENZA racchiude il concetto di presenza del teatro nella memoria e nel presente.

Ma i “colpi di scena” non sono finiti. La voce proietta la drammaturgia dello sguardo sugli spettatori: li menziona uno per uno, ora pronunciandone il nome, ora citandone un segno di riconoscimento, come il colore della maglietta, l’acconciatura. Gli spettatori ora sorridono e si guardano l’un l’altro. In qualche modo diventano spett-attori. La voce viruale ha così creato un percorso visivo non certo casuale che procede dal topos del teatro, inteso come contenitore della performance, per arrivare a chi il teatro lo fa: l’attore, lo spettatore, l’interazione tra questi.

L’opuscolo promozionale della stagione della Soffitta descrive La camera degli sposi come un classico spettacolo di teatro: “c’è una scenografia, un’attrice, un testo recitato, delle comparse, una drammaturgia e un finale a sorpresa”. A conti fatti è proprio così, ma a mio parere, delude un po’ le aspettative. Di sicuro è uno spettacolo che si distingue per l’originalità dell’idea.



Lavinia Laura Morisco

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