Questa sera e domani, 2 e 3 marzo, al teatro Testoni di Casalecchio si potrà assistere alla rappresentazione dell’Avaro del teatro delle Albe. Ore 21.00
Cosa succede quando si tenta di portare in scena il Molière originale? Nasce l'Avaro del Teatro delle Albe. La compagnia di Ermanna Montanari e Marco Martinelli, dopo diverse esperienze di incontro con i grandi testi classici, si confrontano con il “monumento Molière”, come lo definisce lo stesso Martinelli, cioè con l'autore francese che tutti conosciamo o immaginiamo di conoscere. Presentato per la prima volta nell'aprile 2010, l 'Avaro delle Albe è stato preceduto nel febbraio 2010 dallo spettacolo Detto Molière che, in contrapposizione con il lavoro successivo, ha indagato la nascita della vocazione teatrale in Molière bambino. Un dittico, quello delle Albe, che trova una giusta risoluzione nella polarità farsa (Detto Molière) versus tragedia (Avaro) oppure infanzia versus vecchiaia.
Questa sera e domani al teatro Testoni di Casalecchio si potrà assistere alla rappresentazione dell’Avaro, testo di Molière più completo e complesso, contenitore di diversi registri che vanno dal tragico al farsesco al romanzesco. Usando la traduzione di Cesare Garboli, Marco Martinelli e Ermanna Montanari sono partiti dall'idea di affrontare la scrittura del nuovo lavoro senza toccare le parole del testo con il rischio di cadere nel “soporifero teatro di prosa”, dice il regista Martinelli. Ma così non è stato e il risultato è una commedia noir molto più vicina alle originali rappresentazioni seicentesche di Molière rispetto a tante messe in scene di oggi che si vorrebbero fedeli alla “tradizione”.
Nella casetta di Arpagone, in cui tutti spiano tutti, in cui non c'è una vera intimità, si concretizza il dialogo con un passato che inevitabilmente riporta al presente, al raffronto con l'oggi. Martinelli riprende Copeau in questo confronto con i fantasmi di Molière, individuando nella gioia l'unica via per recuperare la vera essenza della cattiveria di Arpagone.
“Arpagone è un'anima collettiva – dice Ermanna Montanari parlando del suo personaggio - lo è spudoratamente. Il microfono, usato come sonda, capta tutti i movimenti della saliva, lo sbattere dei denti, il respiro che non vuole uscire” e rappresenta lo strumento del potere, uno scettro che gli permette di dominare e controllare ciò che gli sta intorno, creando lo spazio entro cui tutti i personaggi si muovono. Quello di Ermanna Montanari è un Arpagone en travesti che ha bisogno del microfono-scettro per far risuonare la sua voce tendenzialmente afona, arida e desertica. Un'incomunicabilità che riflette il quotidiano. “C'è una crepa enorme tra ciò che questa figura è e ciò che essa rappresenta: non è un personaggio, è un'icona, quindi un manufatto, una creazione, e da qui la necessità che la sua voce deve essere creata da un orefice, divenendo atto di sinergia con la platea”. Il suo avaro, “nero come il petrolio viscido, che macchia e contagia”, è una figura scontornata – immediato, in questo senso, è l'immaginario evocato dal manifesto dello spettacolo ideato da Leila Marzocchi -, “molto più vicina agli uomini di quello che si pensi, ma questo è solo ciò che si manifesta. Sotto l'abito di Arpagone ci sono i colori luminosi di Goya, il bianco, l'azzurro, il giallo e la vibrazione che essi danno”.
Ancora una volta, un originale tuffo nel passato per continuare a guardarci allo specchio della contemporaneità.
Selene Venticinque
Carolina Ciccarelli
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