lunedì 5 marzo 2012

“La signorina Giulia”: tentativo d’ipnosi collettiva

Una musica ritmata, moderna, quasi l'eco di una discoteca, invade la sala ancora prima che lo spettacolo abbia inizio.
La signorina Giulia di Valter Malosti, in scena all’Arena del Sole di Bologna, strappa la vicenda al suo tempo, a quel 1888 in cui scrive Strindberg, per suggerire una possibile collocazione contemporanea dei tormentati rapporti tra il servo Giovanni e la contessina Giulia. 

La scenografia è uno spaccato di interno domestico ridotto ai suoi elementi essenziali, chiusi tra mura diroccate e una rampa di scale che porta ad un ipotetico esterno, dove impazza la festa di mezza estate.

Al centro c’è la sala da pranzo, terreno di lotta tra Giulia e Giovanni: un tavolo e le sedie su un piano inclinato che sembra precipitare verso il basso, proprio come i due protagonisti, e sul quale si aprono, anche da sole, botole che richiamano il sotterraneo, il nascosto, gli inferi.

Sulla destra, isolato dal resto, c’è il cucinotto, regno di Federica Fracassi nei panni di Cristina, cuoca e fidanzata di Giovanni, costretta ad assistere alla passione tragica che scuote servo e contessa, nel tentativo vano di frenarla, di riportare le cose allo stato originario. Tentativo dettato dal rispetto per i padroni e per le regole, ma anche da un forte desiderio sensuale, nascosto nel testo di Strindberg ma esplicitato dalla regia di Malosti.

Dall'ingresso della signorina Giulia (Valeria Solarino) sino al tragico epilogo, è tutto una corsa verso il basso, un franare precipitoso, sottolineato da una recitazione che forza le parole in un gorgo di ricordi, di impulsi, di desideri di fuga, di paure.

Su tutti, ma soprattutto su Giovanni, interpretato dallo stesso Malosti, incombe il pensiero del conte, del quale si attende e si teme il ritorno. La sua presenza in scena è solo un paio di stivali e un campanello, dal quale impartisce l'ordine che porterà il servo ad accelerare i tempi della fine. Tanto basta per sentirne il peso, suggerito, da subito, dalla luce che va a cercare stivali e campanello per portarli all'attenzione del pubblico.

La luce contribuisce in maniera determinante a creare il clima surreale e onirico che domina lo spettacolo. I tagli colorati e accesi evidenziano i passaggi fondamentali, i nodi cruciali della tragedia. La luce tinge e deforma il volto di Giulia mentre racconta episodi del suo passato, colora di rosso il tavolo da pranzo che diventa così letto di morte.

Lo spettatore è trascinato dai simboli, dai colori, dal fiume in piena di parole, costretto anch'esso all'ipnotismo che ucciderà Giulia e forse, tra tutti questi elementi, dimentica l'interpretazione non troppo convincente della Solarino, che nonostante gli sforzi non riesce a prevalere sull'ottima Fracassi.

Michela Mari

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