Così
si apre “Finale di partita”, opera scritta da Samuel Beckett e qui diretto da
Massimo Castri.
Regista
di grande esperienza, Castri sottolinea l’analogia del titolo e dello
spettacolo con la mossa del gioco degli scacchi (di cui Beckett era un discreto
giocatore), facendo muovere i personaggi su un’enorme scacchiera, costituita
dal pavimento della stanza. Hamm costituisce la pedina del re, in una partita
già persa in partenza, che solo un cattivo giocatore continuerebbe a giocare,
ma che Hamm porta avanti probabilmente solo per posticipare una fine
inevitabile.
La
partita si svolge in quella che sembra la sala principale del palazzo di Hamm,
lussuosa e piena di stucchi, ma spoglia.
Hamm
è un vecchio signore cieco, non può camminare e tiranneggia su Clov (Milutin
Dapcevic), che al contrario ci vede, ma non può stare seduto. Clov da sempre si
è dovuto occupare di Hamm, fin da piccolo da quanto ricorda lui, visto che
rammenta poco del suo passato. A un certo punto Hamm racconta di un bambino che
striscia per un tozzo di pane, e potrebbe tranquillamente essere la storia di
Clov, ma questi sono tutti particolari che si perdono nella memoria.
Hamm
tormenta Clov dandogli ordini assurdi, poi ritrattandoli in continuazione, ma
anche Clov a modo suo ribatte ad Hamm ostentando obbedienza, ma minacciandolo
in continuazione di abbandonarlo. Rinchiusi nei due bidoni della spazzatura in
proscenio vi sono Nagg (Antonio Giuseppe Peligra) e Nell (Diana Hobel), i
“maledetti progenitori” di Hamm. Completamente vestiti di bianco e dalle
sembianze burattinesche, essi hanno perso le gambe in un incidente in tandem
nelle Ardenne, in cui anche Hamm ha avuto un aneurisma (lo dimostra il sangue
sul lenzuolo). Dal carattere più dolce, Nell è anche capace di rievocare
momenti felici come la gita sul lago di Como fatta con Nagg. Più rude e
pressante invece, Nagg è impaziente di ripetere la storia del sarto inglese e
stuzzica Nell, ma nonostante tutto è ancora capace di gesti dolci nei suoi
confronti, come ad esempio il fatto di averle conservato un pezzo del suo
biscotto.
Le
vicissutidini che hanno attraversato la famiglia di Hamm sono paragonabili alle
tragedie che stanno colpendo il mondo intorno a loro.
Rinchiusi
in questo lussuoso rifugio a metà tra terra e mare, Hamm vede una terra
desolata (“Tutto è zero… zero... e zero”) attraverso le finestre sui muri.
Ma
in questa atmosfera di malattia e tristezza, in cui quasi stride il vociare di
bambini e i versi di gabbiani che si sentono all’esterno verso la fine dello spettacolo,
(ma che denotano ancora un barlume di vita sulla terra), si aggiungono una
serie di dialoghi arguti e divertenti, segnati da un pur sempre nero umorismo.
“Non
c’è niente di più comico dell’infelicità”, ci ricorda dopotutto Beckett tramite
la voce di Nell, sottolineando la sua vena ironica e sarcastica che farà di Finale di partita il suo spettacolo
preferito.
E
in questa partita composta da un gioco continuo di mossa e contromossa, e da
una serie di azioni ripetitive nel tempo, dove Hamm si rivolge al suo servitore
con toni fermi e atteggiamenti da attore consumato, forse per nascondere un
ultimo briciolo di dignità, sopraggiunge infine la fuga di Clov. Una fuga
fittizia, visto che egli rimarrà immobile nel proscenio, con valigetta e
ombrello in mano, pronto per partire, ma intrappolato in questo rifugio e
incapace come il fratello di portare a termine qualsiasi azione.
E
sarà proprio così che si concluderà lo spettacolo, in una sorta di fermo
immagine, le cui azioni, chissà, potranno riprendere uguali il giorno seguente.
Questa
è la prima volta che Castri porta in scena una piéce di Beckett, sicuramente la
più difficile da interpretare. Eppure la scrupolosità nella scelta della
scenografia e dei costumi, curati da Maurizio Balò, e la bravura degli attori,
in particolare di Franceschi e Dapcevic, che con la loro gestualità accentuata
e precisa e i loro scambi di battute, recitati a specchio l’uno dell’altro,
hanno contribuito a rendere più evidente l’atmosfera dello spettacolo a metà
tra tragedia e commedia, sospeso nel tempo, segnato anche da una sottile vena
di cechovismo.
Uno
spettacolo accolto con successo all’Arena del sole, dove andrà in scena fino al
4 dicembre, dopo aver vinto il premio Ubu nel 2010 come miglior spettacolo
dell’anno.
Giulia Mento
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