domenica 4 dicembre 2011

Un Finale di partita tutto di successo per Massimo Castri all’Arena del Sole di Bologna

Una stanza grigia, senza mobili. Due finestrelle sono posizionate in alto sui muri di destra e di sinistra, con le ante chiuse. Sul primo piano destro una porta, anch’essa chiusa. Sul primo piano sinistro due bidoni della spazzatura. Al centro, coperto da un lenzuolo macchiato di sangue, seduto su una sedia a rotelle, Hamm (Vittorio Franceschi).
Così si apre “Finale di partita”, opera scritta da Samuel Beckett e qui diretto da Massimo Castri.

Regista di grande esperienza, Castri sottolinea l’analogia del titolo e dello spettacolo con la mossa del gioco degli scacchi (di cui Beckett era un discreto giocatore), facendo muovere i personaggi su un’enorme scacchiera, costituita dal pavimento della stanza. Hamm costituisce la pedina del re, in una partita già persa in partenza, che solo un cattivo giocatore continuerebbe a giocare, ma che Hamm porta avanti probabilmente solo per posticipare una fine inevitabile.

La partita si svolge in quella che sembra la sala principale del palazzo di Hamm, lussuosa e piena di stucchi, ma spoglia.

Hamm è un vecchio signore cieco, non può camminare e tiranneggia su Clov (Milutin Dapcevic), che al contrario ci vede, ma non può stare seduto. Clov da sempre si è dovuto occupare di Hamm, fin da piccolo da quanto ricorda lui, visto che rammenta poco del suo passato. A un certo punto Hamm racconta di un bambino che striscia per un tozzo di pane, e potrebbe tranquillamente essere la storia di Clov, ma questi sono tutti particolari che si perdono nella memoria.

Hamm tormenta Clov dandogli ordini assurdi, poi ritrattandoli in continuazione, ma anche Clov a modo suo ribatte ad Hamm ostentando obbedienza, ma minacciandolo in continuazione di abbandonarlo. Rinchiusi nei due bidoni della spazzatura in proscenio vi sono Nagg (Antonio Giuseppe Peligra) e Nell (Diana Hobel), i “maledetti progenitori” di Hamm. Completamente vestiti di bianco e dalle sembianze burattinesche, essi hanno perso le gambe in un incidente in tandem nelle Ardenne, in cui anche Hamm ha avuto un aneurisma (lo dimostra il sangue sul lenzuolo). Dal carattere più dolce, Nell è anche capace di rievocare momenti felici come la gita sul lago di Como fatta con Nagg. Più rude e pressante invece, Nagg è impaziente di ripetere la storia del sarto inglese e stuzzica Nell, ma nonostante tutto è ancora capace di gesti dolci nei suoi confronti, come ad esempio il fatto di averle conservato un pezzo del suo biscotto.

Le vicissutidini che hanno attraversato la famiglia di Hamm sono paragonabili alle tragedie che stanno colpendo il mondo intorno a loro.

Rinchiusi in questo lussuoso rifugio a metà tra terra e mare, Hamm vede una terra desolata (“Tutto è zero… zero... e zero”) attraverso le finestre sui muri.

Ma in questa atmosfera di malattia e tristezza, in cui quasi stride il vociare di bambini e i versi di gabbiani che si sentono all’esterno verso la fine dello spettacolo, (ma che denotano ancora un barlume di vita sulla terra), si aggiungono una serie di dialoghi arguti e divertenti, segnati da un pur sempre nero umorismo.

“Non c’è niente di più comico dell’infelicità”, ci ricorda dopotutto Beckett tramite la voce di Nell, sottolineando la sua vena ironica e sarcastica che farà di Finale di partita il suo spettacolo preferito.

E in questa partita composta da un gioco continuo di mossa e contromossa, e da una serie di azioni ripetitive nel tempo, dove Hamm si rivolge al suo servitore con toni fermi e atteggiamenti da attore consumato, forse per nascondere un ultimo briciolo di dignità, sopraggiunge infine la fuga di Clov. Una fuga fittizia, visto che egli rimarrà immobile nel proscenio, con valigetta e ombrello in mano, pronto per partire, ma intrappolato in questo rifugio e incapace come il fratello di portare a termine qualsiasi azione.

E sarà proprio così che si concluderà lo spettacolo, in una sorta di fermo immagine, le cui azioni, chissà, potranno riprendere uguali il giorno seguente.

Questa è la prima volta che Castri porta in scena una piéce di Beckett, sicuramente la più difficile da interpretare. Eppure la scrupolosità nella scelta della scenografia e dei costumi, curati da Maurizio Balò, e la bravura degli attori, in particolare di Franceschi e Dapcevic, che con la loro gestualità accentuata e precisa e i loro scambi di battute, recitati a specchio l’uno dell’altro, hanno contribuito a rendere più evidente l’atmosfera dello spettacolo a metà tra tragedia e commedia, sospeso nel tempo, segnato anche da una sottile vena di cechovismo.

Uno spettacolo accolto con successo all’Arena del sole, dove andrà in scena fino al 4 dicembre, dopo aver vinto il premio Ubu nel 2010 come miglior spettacolo dell’anno.



Giulia Mento

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