domenica 11 dicembre 2011

Gigi Gherzi, l’artista che cammina per la città fragile

Quando esci dal nuovo spettacolo di Gigi Gherzi, regia di Pietro Floridia, Report dalla città fragile, ti vien voglia di Caravaggio. E non di un dipinto qualsiasi, ma della Conversione di san Matteo. È una storia di incontri questa. Una storia di rapporti che ti colpiscono dritto al cuore passando per gli occhi.

Dopo La strada di Pacha, dello scorso anno, stesso attore, stesso regista, è ancora lo spettatore al centro del lavoro. Il pubblico viene fatto entrare a gruppi e viene accolto dal sorriso di Gigi Gherzi che comincia a raccontare. Ci parla di un registratore, di lui che si muove tra le vie di Milano in cerca di persone fragili che abbiano delle storie da raccontare, con un metodo che sfiora il mestiere del reporter giornalistico.

La scena: le opere d’arte di Pietro Floridia, Laura Pavani e Gabriele Silva
Ci racconta di come le parole chiavi, trentasei parole, siano state trasformate in opere d’arte, di come quindi la scultura si mescoli al teatro. E così noi, ospiti di questa città, ci muoviamo tra disoccupati, appesi, panchine, alberi, solitudini, carriere. Tutte parole che diventano, grazie all’allestimento scenico, personaggi che evocano persone in carne e ossa. La scena è come un grande archivio dove sono custoditi pezzi di città. Dietro a ogni etichetta ci sono cassetti, dentro ogni cassetto ci sono simboli, ogni simbolo parla di persone. E tocca allo spettatore scoprire un po’ per volta la città: aprire i cassetti, scrivere suggestioni e impressioni, giocare con essa senza paura di romperla. Allestita interamente con materiali di recupero, uova, chiodi, pezzi di bambole, cocci di piatti infranti, corde, legnetti, chitarre, Pietro Floridia e la sua squadra hanno fatto una vera e propria mostra metropolitana.


E poi la parola a Gigi Gherzi, all’artista che cammina

Il pubblico prende posto si siede su panchine arruginite. Si cerca di scoprire insieme una città che spesso viene vista solo dai video promozionali, che fanno apparire una Milano efficiente, di un nuovo quartiere in costruzione moderno, grandioso, pieno di verde, con il cielo azzurro (azzurro? A Milano?), ma senza persone. Ed ecco che fa la sua apparizione Caravaggio. Gherzi evoca La conversione di san Matteo e difronte al quel quadro non ci si perde a pensare a quanto sono belli i tavoli della locanda, o a quanto sono comode le sedie. Il protagonista è l’incontro di sguardi tra Gesù e Matteo. È lo sgomento di Matteo che squarcia il dipinto. È il dito puntato del Cristo come a dire “voglio te” che conquista. Per pensare alla velocità, alla grandezza, travolti dai social network, forse ci siamo persi gli incontri e i rapporti. Ci muoviamo attraverso questa città di persone fragili: precari che salgono sui tetti, insegnanti incatenati davanti al provveditorato. Finché Gigi Gherzi e noi con lui troviamo la forza di attraversare il cancello dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini. E le prime immagini raccontate sono quelle delle panchine vuote, dei corridoi, dei carrelli per i farmaci, delle foto di ex pazienti, delle calze bianche delle infermiere, della macchina dell’elettroshock. Lo spettatore a questo punto dell spettacolo viene chiamato di nuovo a portare il suo contributo, altre suggestioni da condividere, è chiamato a mettere al centro i pensieri di quella sera o i ricordi di una vita. È chiamato al racconto e a donare un pezzo della sua fragilità.


A questo punto la mappa della città è completa. E Gigi Gherzi interrompe il suo racconto. Potresti continuare ad ascoltare per ore, e invece è tempo di andare e di rientrare nella città che dopo quest’incontro risulta un po’meno fragile.


Josella Calantropo

Nessun commento:

Posta un commento