giovedì 31 gennaio 2013

Oscura immensità: un teatro che divide le coscienze


Vendetta o perdono? Un guazzabuglio di risposte dentro una oscura immensità che avvolge. Difficile astenersi da qualsiasi giudizio. Probabile la certezza di dover fare i conti con l'intima coscienza, i luoghi comuni e le verità velate di una giustizia, a volte giusta, a volte fin troppo crudele. Premettendo che giusto o corretto, buono o cattivo siano parametri adeguati. Una nube di idee, accuse, perdoni. Impossibile non schierarsi e rimanere neutrali. Oscura immensità nasce dal romanzo L'oscura immensità della morte di Massimo Carlotto, per la regia di Alessandro Gassman con la coproduzione di Teatro Stabile del Veneto e dell'Accademia Perduta Romagna Teatro-Teatro Stabile d'Innovazione.


È il racconto di un fatto di cronaca della provincia del nord-est italiano. È il confronto tra vittima e carnefice, entrambi straziati da tragedie personali. Rispettivamente Giulio Scarpati, in scena Silvano Contin, e Claudio Casadio, nei panni di Raffaello Beggiato. Quel che mostra la traduzione scenica del romanzo è il confine quasi impercettibile tra bene e male. La possibilità che si travalichi quel confine trasformando la vittima in carnefice, e viceversa. Un gioco di ruoli e di doppi. Due forme di prigionia diverse. La vendetta come razionalizzazione del lutto. Il dolore della perdita. La vendetta: l'assenzio dei disgraziati. Una donna e un bambino di soli otto anni vengono presi in ostaggio da due malviventi durante una rapina e muoiono. Rimane il padre, Silvano Contin, intrappolato in una oscura immensità, sopravvivendo i suoi giorni e premeditando la sua vendetta. Un dramma umano, epico, primordiale, antico. Chi si macchia di un reato ha diritto a una seconda possibilità? Chi perde i propri cari ha diritto a vendicarsi?


 Un caldo confronto sullo scenario di una contemporaneità che ci offre numerosi spunti e occasioni di confronto. Linguaggio crudo e fresco, quello della cella umida di una galera a vita. Una scenografia cinematografica. Sovrapposizione di scene e riflessi di figure virtuali. Una prostituta sfatta e grassa, la madre di Casadio invecchiata dalle preoccupazioni, la moglie e il figlio di Contin. Fantasmi rievocati su uno sfondo nero e oscuro. Prima l'appartamento di Contin, poi la cella di Casadio. Una consonanza di cambi di scena, una dissonanza di luci. Due drammi esistenziali, nella forma del soliloquio, che si intrecciano con i ricordi di un passato deturpato e i progetti per una morte serena. Contin vive l'oscurità. L'oscurità di un condominio anonimo di periferia, di un appartamento triste e desolato, di un vino in brick, di una professione banale. Il carnefice, affetto da un tumore, chiede il perdono che, una volta firmato da Contin, gli permetterebbe di passare i suoi ultimi giorni nella casa della madre con frigo e cubetti di ghiaccio sognando Brasile e libertà. L'alleanza tra vittima e carnefice si può? La debolezza del carnefice è quella di non poter fare a meno della vittima, e viceversa. Sia vittima che carnefice vivono nell'oscura immensità di una Sindrome di Stoccolma amplificata e reciproca. Ognuno vive vittima e carnefice di se stesso.
In scena il 29 e 30 gennaio al Teatro Arena del Sole (Via dell'Indipendenza 44, Bologna) Info.
051 224332
Angela Grasso

Nessun commento:

Posta un commento