Il
teatro è jouer.
Si intende la duplice accezione di recitare e giocare. Il gioco, filo
rosso che sottende lo svolgimento del dramma, è quello degli
scacchi. Gioco pericoloso sul precipizio tra vita e morte. Maria
Grazia Cipriani ha riscritto l’Amleto
per
il Teatro del Carretto pensandolo come il diario segreto del
protagonista. Amleto ha, davanti a sé, un teatrino in miniatura con
i personaggi del dramma riprodotti in carta pesta. Scene e costumi
curati da Graziano Gregori. Una dimensione spazio-visiva orientata
sul contrasto dentro e fuori. Uno spazio interno, intimo e
suggestivo, che si mostra anche pubblico e collettivo.
Suoni di lame,
feste in dissonanza, echi di fantasmi, misfatti da vendicare. Si
seguono le tracce musicali di Hubert Westkemper, sound designer.
Sette attori e le rispettive marionette, pedine del gioco di Amleto.
Ognuna, alter ego in un Altrove che è luogo inventato da una mente
malata. Azioni doppie, puramente shakespeariane. Amleto crea un suo
doppio, un altro Amleto, e uccide Polonio, padre di Laerte. Laerte
assume la stessa posizione che Amleto ha di fronte a Claudio. Ci
sono due padri da vendicare,
come direbbe Victor Hugo. Un gioco di specchi e immagini riflesse. Il
simbolo, ovvero la pedina-marionetta, spiega il perché del
personaggio riproducendone il gesto. Attori vestiti di bianco su uno
sfondo rosso di finti mattoni. Si aprono fessure. Entrano spettri,
visioni fantasmatiche, personaggi di un dramma umano, fin troppo
umano. Amleto è succube della sua mente contorta e turbata. Alle sue
spalle il canto di Gertrude, interpretata da Elsa Bossi (che è pure
Ofelia). Alle sue spalle, ancora, il ghigno del Re.
Visioni spettrali
e lugubri investono la sua immaginazione. Dimensione onirica e realtà
si invischiano tanto da non distinguerle. I personaggi, ubriachi di
vita, mimano feste e banchetti. La riscrittura scenica, con montaggi
e tagli tipicamente cinematografici, infrange la convenzione
teatrale, infrange Shakespeare iniettandogli nuova linfa vitale. Una
scrittura ricreativa che si muove sui registri tragico e comico.
Dramma e pantomima si intrecciano in un climax vertiginoso. Ofelia
muore colpita da secchi di petali bianchi. Una danza di scheletri. La
nudità dei corpi e della mente. Follia. Il duello finale. La partita
a scacchi è quella che Amleto gioca con se stesso. Gertrude, figura
ispirata dalla regina bianca del film di Tim Burton, è regina e
madre ai limiti dell’osceno. Compare in scena bianca e candida
all’apparenza ma con la gonna svoltata per intravederne la fodera
rossa, simbolo di un sesso aperto. Ofelia, casta e docile fanciulla
attaccata ad una corda, condannata alla cenere. Veleni e corde per
suicidarsi e vendicare. Perché questo Amleto, introspettivo,
grottesco e profondamente attuale, dice che cenere nasciamo e alla
cenere indistintamente siamo destinati. Gli uomini sono fatti di
carne e nient’altro. Amleto, con il dito puntato in aria, finge di
scrivere a caratteri cubitali la parola carne.
Polonio, servo impacciato. Rosencranz e Guildenstern, pedine del Re
usurpatore che vanno incontro al destino saltellando come Pinco e
Panco.
Il dialogo manca e manca la comprensione. Nascono il conflitto
e la sete di vendetta. Perfino la morte, rappresentata dagli
scheletri che danzano, indietreggia alla vista di Amleto. Perfino la
morte inorridisce alla vista del suo doppio. Paranoia e paura. Una
moscacieca di verità messe a nudo e bugie velate. Una tragedia dal
retrogusto antico che mette in scena la condizione esistenziale
dell’uomo oggi, ieri e domani. Riecheggia nelle stanze svuotate
dell’anima l’interrogativo esistenziale dell’Essere,
o non essere,
indecisione che impedisce ad Amleto di agire. Un orgasmo vitale.
Fascinazione fisica e poetica. In scena il 22 e 23 gennaio al Teatro
Arena del Sole (Via dell’Indipendenza, 44)
Info. 051 224332
Angela Grasso
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