mercoledì 23 gennaio 2013

All'Arena del Sole l’Amleto fa scacco matto


Il teatro è jouer. Si intende la duplice accezione di recitare e giocare. Il gioco, filo rosso che sottende lo svolgimento del dramma, è quello degli scacchi. Gioco pericoloso sul precipizio tra vita e morte. Maria Grazia Cipriani ha riscritto l’Amleto per il Teatro del Carretto pensandolo come il diario segreto del protagonista. Amleto ha, davanti a sé, un teatrino in miniatura con i personaggi del dramma riprodotti in carta pesta. Scene e costumi curati da Graziano Gregori. Una dimensione spazio-visiva orientata sul contrasto dentro e fuori. Uno spazio interno, intimo e suggestivo, che si mostra anche pubblico e collettivo. 


Suoni di lame, feste in dissonanza, echi di fantasmi, misfatti da vendicare. Si seguono le tracce musicali di Hubert Westkemper, sound designer. Sette attori e le rispettive marionette, pedine del gioco di Amleto. Ognuna, alter ego in un Altrove che è luogo inventato da una mente malata. Azioni doppie, puramente shakespeariane. Amleto crea un suo doppio, un altro Amleto, e uccide Polonio, padre di Laerte. Laerte assume la stessa posizione che Amleto ha di fronte a Claudio. Ci sono due padri da vendicare, come direbbe Victor Hugo. Un gioco di specchi e immagini riflesse. Il simbolo, ovvero la pedina-marionetta, spiega il perché del personaggio riproducendone il gesto. Attori vestiti di bianco su uno sfondo rosso di finti mattoni. Si aprono fessure. Entrano spettri, visioni fantasmatiche, personaggi di un dramma umano, fin troppo umano. Amleto è succube della sua mente contorta e turbata. Alle sue spalle il canto di Gertrude, interpretata da Elsa Bossi (che è pure Ofelia). Alle sue spalle, ancora, il ghigno del Re. 


Visioni spettrali e lugubri investono la sua immaginazione. Dimensione onirica e realtà si invischiano tanto da non distinguerle. I personaggi, ubriachi di vita, mimano feste e banchetti. La riscrittura scenica, con montaggi e tagli tipicamente cinematografici, infrange la convenzione teatrale, infrange Shakespeare iniettandogli nuova linfa vitale. Una scrittura ricreativa che si muove sui registri tragico e comico. Dramma e pantomima si intrecciano in un climax vertiginoso. Ofelia muore colpita da secchi di petali bianchi. Una danza di scheletri. La nudità dei corpi e della mente. Follia. Il duello finale. La partita a scacchi è quella che Amleto gioca con se stesso. Gertrude, figura ispirata dalla regina bianca del film di Tim Burton, è regina e madre ai limiti dell’osceno. Compare in scena bianca e candida all’apparenza ma con la gonna svoltata per intravederne la fodera rossa, simbolo di un sesso aperto. Ofelia, casta e docile fanciulla attaccata ad una corda, condannata alla cenere. Veleni e corde per suicidarsi e vendicare. Perché questo Amleto, introspettivo, grottesco e profondamente attuale, dice che cenere nasciamo e alla cenere indistintamente siamo destinati. Gli uomini sono fatti di carne e nient’altro. Amleto, con il dito puntato in aria, finge di scrivere a caratteri cubitali la parola carne. Polonio, servo impacciato. Rosencranz e Guildenstern, pedine del Re usurpatore che vanno incontro al destino saltellando come Pinco e Panco. 

Il dialogo manca e manca la comprensione. Nascono il conflitto e la sete di vendetta. Perfino la morte, rappresentata dagli scheletri che danzano, indietreggia alla vista di Amleto. Perfino la morte inorridisce alla vista del suo doppio. Paranoia e paura. Una moscacieca di verità messe a nudo e bugie velate. Una tragedia dal retrogusto antico che mette in scena la condizione esistenziale dell’uomo oggi, ieri e domani. Riecheggia nelle stanze svuotate dell’anima l’interrogativo esistenziale dell’Essere, o non essere, indecisione che impedisce ad Amleto di agire. Un orgasmo vitale. Fascinazione fisica e poetica. In scena il 22 e 23 gennaio al Teatro Arena del Sole (Via dell’Indipendenza, 44) 
Info. 051 224332

Angela Grasso


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