Sporcizia cosmica di polvere. Polvere per strada.
Polvere a teatro. Si respira foschia e ci si accomoda in platea. Si cerca di
far luce nella nebbia calata non solo in scena, ma anche sui fatti accaduti.
Così si inaugura la stagione del Teatro Pubblico di Casalecchio: quattro
pannelli e un leggio che sputano la verità sulla città piemontese della Eternit,
spesso ingoiata e digerita senza lamenti.
Un monologo popolare di voci e coscienze picchiate a
sangue dalle briglie di un tessuto filamentoso e sottilissimo: l'amianto. Laura Curino presta il suo sobrio vestire nero per srotolare la storia di una
cittadina dalle radici celtiche bagnate dal fiume Po, in una distesa di vigneti
e grano che incorniciano il castello, il Duomo e… l’industria di eternit.
È un teatro civile che documenta l'incivile: il dolore delle
donne di Casale Monferrato, vedove di ex operai o di semplici cittadini, che lottano
contro un’ingiusta solitudine. I racconti-orrore
sono liberamente tratti dal libro di Silvana Mossano, che ispira il titolo dello spettacolo stesso: Malapolvere. Veleni ed
antidoti per l’invisibile.
La fabbrica Eternit, fondata a Casale nel 1906 dalla
famiglia Mazza, è un impianto che apre prospettive occupazionali inattese. La
fame istintiva del contadino sembra sconfitta con un impiego innovativo, quasi
una “scoperta dell’America” senza emigrare. Un lavoro fisso, ben retribuito, a
orari stabili che, soprattutto, rappresenta un benessere duraturo per i figli non costretti a spezzarsi la schiena
come manovali o minatori. Si produce materiale del futuro in un’ingenua Italia
ignara del progresso americano “col marmo finto, legno finto, oro finto, porta
pacchi, porta ombrelli, porta gioie senza gioia”.
Era un modo per sentirsi fieri del proprio lavoro, poco
importava se di quel lavoro si moriva. Si parlava genericamente di bronchite
cronica, la stessa che colpisce i fumatori incalliti. Conta poco se la polvere ne
accelera il progresso. “Polvere
tu sei e in polvere tornerai”, recita
la Bibbia.
Le polveri prodotte dalla rarefazione della fibra-killer
ricoprono case, campi, monumenti senza scampo. Latte materno al sapore di
amianto, baci al sapore di amianto.
“Veleni in cambio di prosperità economica, fino
all’assurdo scambio di malattia in cambio di benessere”.
La voce poco modulata della Curino evoca dialoghi di
coscienza, racconta aneddoti ma anche dati precisi, numeri e statistiche narrate
dal fiume Po triste e inquinato, dalla nebbia che accoglie gli operai diretti
in fabbrica all’alba, dall’albero abbagliato dal progresso, dalla torre civica
arrabbiata.
Sui quattro pannelli in scena, istallati da Lucio Diana, si proiettano radiografie
di toraci divorati dalla malattia, monumenti infetti e i sospetti dei primi lavoratori.
Sono i primi anni ‘70 quando l’operaio Nicola Pondrano
nota all'ingresso della fabbrica sempre più annunci funebri. Chiede
spiegazioni, ma i dirigenti e il sindacato rispondono in modo generico e
superficiale perché la Eternit dà lavoro a tutto il Monferrato e guai se chiude.
Ma la reazione a catena è partita, si uniscono altri operai, poi i familiari
dei morti, poi i medici dell'ospedale di Casale che certificano: si muore di
mesotelioma e asbestosi venti volte più che altrove.
Partono accuse, il processo è in attesa dell’ultima sentenza per i due
proprietari della fabbrica: il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis De Cartier. Far
cadere le accuse in cambio di un risarcimento economico di 18 milioni di euro?
«Nessun patto con il diavolo!» – protestano i casalesi.
Risultato: la transazione è sospesa.
Si raccontano storie, si scrivono libri, e poi
conferenze per divulgare la verità e per far sfiatare la rabbia di famiglie
mutilate. I casalesi non vogliono dimenticare.
“Ti prego grande fiume, sciacqua dignitoso, ma non
scorrere senza memoria”.
Visto a Casalecchio di
Reno, Teatro Pubblico, 17 gennaio 2013
Angela Sciavilla
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