Valerio Binasco |
Un divano troppo verde, una stanza troppo vuota, degli
occhi ancora troppo vivi per chiudersi nella solitudine, dentro quella
scenografia che aggredisce lo sguardo dei primi spettatori di questa stagione
teatrale dell'Arena del Sole. Dal 17
al 28 ottobre l'apertura del sipario nel teatro cittadino punta i riflettori su
La
Fondazione prezioso
lascito di Ivano Marescotti; viene accompagnata da due occhi veloci che corrono
dietro il movimento delle tende per poi schizzare da una angolo all'altro,
persi nel nulla ma pieni di ricordi da conservare e piccole sconfitte da sanare.
Non vi è alcunché di eroico nel bizzarro personaggio di Marescotti diretto da Valerio Binasco, è solo l'uomo che
cerca di rendere più dolce la pillola a tutti troppo amara da inghiottire: la
fine. Dover lasciare spazio al nulla, o meglio riporre la propria vita nella
mani del domani e sperare che qualcuno abbia cura di conservarla, di non
gettarla nel secchio delle cose inutili. Se poi si cerca disperatamente di
suggellare gli attimi vissuti in oggetti capaci di conservare memoria
dell'accaduto, allora l'umoristico delirio (e mai parola fu più giusta per
descrivere quel misto di malinconia e sana ironia) colorito dal dialetto
bolognese regala senso al vuoto assoluto di cui si circonda il personaggio: noi
non vediamo la miriade di roba che accompagna la sua solitudine perché tanto
non ne capiremmo il valore, incapaci di cogliere quella capacità taumaturgica, di
riempire la solitudine e l'inesistente con una logica totalizzante,
estetizzante, quasi maniacale. Un'adorazione della materia “anima”, elabora
sensazioni votate al ricordo e alla conservazione, ossessionate dal dare ordine
a ogni singolo frammento di vita la cui testimonianza è conservata nel fondo
delle bottiglie da osteria, quelle che “non ne fan più di bottiglie così”, mare
di rimpianti giovanili, desideri puerili che pizzicano un po' nel ricordare. È
una lotta all'oblio quella portata avanti sulla scena. Una lotta che armeggia
con un modo di raccontare che predilige la semplicità e l'intimità della
recitazione, regalando risatine leggere e momenti di riflessione su quanto spesso
si butta via ogni singola azione, ogni singolo momento passato, ignari del significato
che le cose possono assumere se vissute davvero: una vita troppo piena ci rende
vuoti dentro, se non si sa dare giusto valore alle cose. E fin quando si ha la
forza di cercarlo, questo valore, allora si può anche sopravvivere alla
solitudine, all'indifferenza della società, non c'è scherzo di amico che possa
privarti della fiducia con cui veneri un bottone e la vita celata nei suoi
buchi. Ma quando capisci che la tua Fondazione,
la tua cura nel conservare per regalare al domani ricordi materiali non sarà
cara a nessuno e la tua memoria verrà probabilmente dissacrata nei bidoni della
spazzatura, allora non c'è altro da fare che seguire il destino dei ricordi,
della vita, delle certezze, delle cose: buttarsi. Così, buttato su quel divano
verde, il nostro vecchio sognatore si lascia andare alla morte, all'oblio,
cosciente di aver lottato finché si doveva lottare.
Ivano Marescotti |
“Fanne quello che credi”: Con queste parole Raffaele Baldini ha consegnato il suo
ultimo testo a Ivano Marescotti,
sapendo probabilmente che l'unica cosa in cui crede un attore è il valore della
“messinscena”, agita, vissuta. E Marescotti questa storia ce la sa raccontare,
lontano dai surrealismi, in un teatro dell'ascolto dove protagonista è l'uomo
che parla di sé a se stesso.
Elvira Scorza
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