Nel Rakugo la scena è
un cubo coperto di tela nera su cui si adagiano un cuscino (zabuton), un ventaglio (sensu) e un tenugui, un fazzoletto di stoffa. Tutto il resto è sapiente energia
nei movimenti, calibrazione naturale di gesti quotidiani magicamente resi nel
nulla e spettatore che immagina; basta un movimento diverso degli occhi, una
mano che si alza troppo velocemente o un gesto affrettato a distruggere
l’immagine che il pubblico deve farsi di ciò che è la scena, di ciò che è
presente sotto i suoi occhi. Questo è essenziale: se lo spettatore non si
presta totalmente a guardare e da qui a immaginare, l’arte del Rakugo si
spegne, perché “Il maestro si mette nelle
vostre mani”.
foto di Eleonora Rossi |
Potranno mai i
nostri occhi, squadrati dall’ossessione della visione scenica, permettere a
quest’arte millenaria di esistere nel nostro piccolo microcosmo occidentale?
Sì, lo hanno fatto giovedì otto novembre
ai Laboratori delle Arti. L’impensabile naturalezza del gesto del maestro Sanyūtei Ryūraku ha dato vita, sotto ai nostri occhi, a scene
invocanti un riso che non ha confini: figli che si divertono alle spalle dei
padri e combinano guai, servi che contraddicono gli ordini dei padroni, tipi
calmi e riflessivi o eccitati e sempre attivi. Tutto vive grazie al sensu e al tenugui, tutto vive grazie all’arte che li muove trasformandoli,
permettendoci di vedere ora un cucchiaio di legno, ora una pipa con il porta
tabacco, ora un portafoglio gelosamente custodito. Gli occhi seguono le azioni
e le orecchie si incantano alla sottile musica dello shamisen, un liuto a tre corde con un suono simile al banjo.
foto di Eleonora Rossi |
I passi di un fantasma o le allegre passeggiate di un visitatore
dei quartieri “vivi” della città si distinguono sulle corde dell’antico
strumento giapponese ma non dimentichiamo che ogni attore di Rakugo ha una sua
melodia, composta appositamente per accompagnare i suoi gesti e suonata al suo
ingresso: quella del Maestro Sanyūtei
Ryūraku rappresenta lo scorrere dell’acqua
del fiume e si lega al suo nome, alla piacevolezza e alla forza che in esso
vivono. Il tutto crea una comicità che non ha problemi a tradursi in italiano,
così come noi spettatori non abbiamo problemi a cogliere l’eternità dell’arte
del Rakugo nelle sonorità magiche della lingua giapponese e dei suoi topoi narrativi: chi resiste
all’abbandono dei sensi ascoltando il suono dello shamisen nel raccontare, pura
musica, l’amata speranzosa nell’arrivo della pioggia che impedisca all’amato di
abbandonarla? Racconti che arrivano da tempi e luoghi lontani ma così vicini al
nostro spirito da farci ridere di cuore.
Elvira Scorza
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