Pantani è l’anti storia di un eroe dal tragico epilogo. Dopo
dieci anni dalla morte del Pirata, i fari sono puntati sulla verità, il teatro
si impegna a seguire la vicenda dell’atleta con la bandana, a partire dalle
primissime esperienze in bicicletta. Il piccolo Marco con la passione per il
ciclismo trasmessa dal nonno Sotero, scala le montagne su due ruote, sprezzante
del pericolo. Tornante dopo tornante sfida i soprusi, si batte in prima fila
per difendere lo sport della sua vita, ma a pochi metri dal traguardo, slitta
sul bagnato della droga, depresso da un mondo ingiusto.
Il Teatro delle Albe porta in scena l’innocenza di Marco
Pantani, raccontata dall’amorevole sguardo dei genitori, e documentata con
carte, inchieste, e analisi dal giornalista francese Philippe Brunel,
(approfondite nel libro Gli ultimi giorni di Marco Pantani, edito da Rizzoli).
Scorrono tappe del Giro d’Italia, Tour de France,
allenamenti sugli Appennini emiliano-romagnoli, tra una piadina preparata nella
bottega di mamma Tonina, interpretata da Ermanna Montanari, e i lavoretti sulla
bici per migliorarne le prestazione del babbo Paolo (ruolo affidato a Luigi
Dadina). Video e foto proiettate su un gigante schermo sul fondale scandiscono
i racconti, portano luce su una vicenda liquidata fin troppo frettolosamente
come tragico caso di doping. Si prova a decostruire i pregiudizi a partire
dalle cartelle cliniche, da quelle incomplete analisi del sangue che mostravano
un alto tasso di ematocrito nel sangue di Pantani, in un’Italia che fugge da
Tangentopoli, per rifugiarsi nel mondo ammaliante delle soubrette, messi nelle
mani del governo Berlusconi e dei sogni preconfezionati, acquistabili a rate.
La Montanari, vestita di rosso e dialetto romagnolo,
ridipinge l’infanzia del bambino prodigio dalle sue prime corse a Cesenatico,
gambe in spalla e fazzulet in testa, alla fama soffocante che lo sbatteva sotto
i riflettori, lontano da casa. Il microfono alternato tra gli attori fa da
cassa di risonanza al successo crescente, a quei racconti delle scalate
iniziate nel 1994. Tecnicismi, antidoping, Coni, Federciclo: nella seconda
parte dello spettacolo si rischia di perdersi nei meandri degli scandali e
della mala informazione mediatica. Dalla fatidica gara del 5 giugno 1999 a Madonna di Campiglio,
il tasso di ematocrito alto, le accuse infondate, il divieto di correre quella
gara che vedeva l’atleta romagnolo in testa alle classifiche. Tutto era
calcolato, le scommesse ciclistiche del pregiudicato Vallanzasca anticiparono
l’esito della competizione. Pantani fu allontanato dalla gara, circondato dai
carabinieri come il peggiore delinquente, accusato di assunzione di EPO.
Francesco Mormino, nei panni del giornalista Brunel indaga,
ragiona, dimostra la purezza del vero campione. Pantani si era incaponito per
difendere lo sport di Coppi e Bartali dal fango delle ingiustizie inflitte dal
Coni. Perché hanno moltiplicato i controlli antidoping nel ciclismo? Perché
accanirsi proprio su quello sport? Era una campagna mediatica che aggiungeva
ulteriori controlli, eccessivi rispetto a quelli effettuati negli altri sport?
Mentre i nodi della politica sportiva si sbrogliano, un coro
intona immagini del passato, i panorami visti dai traguardi, i rapporti con
amici, colleghi e fidanzate. In scena Alessandro Argnani, Francesco Catacchio,
Fagio, Roberto Magnani, Michela Marangoni e Laura Redaelli interpretano la
sorella Manola, gli amici della Mercatone Uno, Pino Roncucci il suo primo
allenatore, ed Elisa l’amata che gli fu vicino negli ultimi tempi. Stritolato
dalle calunnie, Pantani si fida della “sostanza”, che crea dipendenza: sicuro
di saperla padroneggiare, ci ha lasciato il 14 febbraio 2004 nella camera di
una pensione di Rimini.
Pantani è vittima sacrificata in nome della lealtà; è eroe;
è teatro d’inchiesta, è svelamento di autenticità scomode da scoprire. Il
Teatro delle Albe si avvicina senza turbare il ricordo di un giusto dato in
pasto alla prepotenza.
Visto al Teatro Pubblico di Casalecchio, il 4 marzo 2014
Angela Sciavilla
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