lunedì 10 marzo 2014

Vittorie, indagini e soprusi: la scalata delle Albe sul caso Pantani

Pantani è l’anti storia di un eroe dal tragico epilogo. Dopo dieci anni dalla morte del Pirata, i fari sono puntati sulla verità, il teatro si impegna a seguire la vicenda dell’atleta con la bandana, a partire dalle primissime esperienze in bicicletta. Il piccolo Marco con la passione per il ciclismo trasmessa dal nonno Sotero, scala le montagne su due ruote, sprezzante del pericolo. Tornante dopo tornante sfida i soprusi, si batte in prima fila per difendere lo sport della sua vita, ma a pochi metri dal traguardo, slitta sul bagnato della droga, depresso da un mondo ingiusto.


Il Teatro delle Albe porta in scena l’innocenza di Marco Pantani, raccontata dall’amorevole sguardo dei genitori, e documentata con carte, inchieste, e analisi dal giornalista francese Philippe Brunel, (approfondite nel libro Gli ultimi giorni di Marco Pantani, edito da Rizzoli).
Scorrono tappe del Giro d’Italia, Tour de France, allenamenti sugli Appennini emiliano-romagnoli, tra una piadina preparata nella bottega di mamma Tonina, interpretata da Ermanna Montanari, e i lavoretti sulla bici per migliorarne le prestazione del babbo Paolo (ruolo affidato a Luigi Dadina). Video e foto proiettate su un gigante schermo sul fondale scandiscono i racconti, portano luce su una vicenda liquidata fin troppo frettolosamente come tragico caso di doping. Si prova a decostruire i pregiudizi a partire dalle cartelle cliniche, da quelle incomplete analisi del sangue che mostravano un alto tasso di ematocrito nel sangue di Pantani, in un’Italia che fugge da Tangentopoli, per rifugiarsi nel mondo ammaliante delle soubrette, messi nelle mani del governo Berlusconi e dei sogni preconfezionati, acquistabili a rate.
La Montanari, vestita di rosso e dialetto romagnolo, ridipinge l’infanzia del bambino prodigio dalle sue prime corse a Cesenatico, gambe in spalla e fazzulet in testa, alla fama soffocante che lo sbatteva sotto i riflettori, lontano da casa. Il microfono alternato tra gli attori fa da cassa di risonanza al successo crescente, a quei racconti delle scalate iniziate nel 1994. Tecnicismi, antidoping, Coni, Federciclo: nella seconda parte dello spettacolo si rischia di perdersi nei meandri degli scandali e della mala informazione mediatica. Dalla fatidica gara del 5 giugno 1999 a Madonna di Campiglio, il tasso di ematocrito alto, le accuse infondate, il divieto di correre quella gara che vedeva l’atleta romagnolo in testa alle classifiche. Tutto era calcolato, le scommesse ciclistiche del pregiudicato Vallanzasca anticiparono l’esito della competizione. Pantani fu allontanato dalla gara, circondato dai carabinieri come il peggiore delinquente, accusato di assunzione di EPO.


Francesco Mormino, nei panni del giornalista Brunel indaga, ragiona, dimostra la purezza del vero campione. Pantani si era incaponito per difendere lo sport di Coppi e Bartali dal fango delle ingiustizie inflitte dal Coni. Perché hanno moltiplicato i controlli antidoping nel ciclismo? Perché accanirsi proprio su quello sport? Era una campagna mediatica che aggiungeva ulteriori controlli, eccessivi rispetto a quelli effettuati negli altri sport?
Mentre i nodi della politica sportiva si sbrogliano, un coro intona immagini del passato, i panorami visti dai traguardi, i rapporti con amici, colleghi e fidanzate. In scena Alessandro Argnani, Francesco Catacchio, Fagio, Roberto Magnani, Michela Marangoni e Laura Redaelli interpretano la sorella Manola, gli amici della Mercatone Uno, Pino Roncucci il suo primo allenatore, ed Elisa l’amata che gli fu vicino negli ultimi tempi. Stritolato dalle calunnie, Pantani si fida della “sostanza”, che crea dipendenza: sicuro di saperla padroneggiare, ci ha lasciato il 14 febbraio 2004 nella camera di una pensione di Rimini.
Pantani è vittima sacrificata in nome della lealtà; è eroe; è teatro d’inchiesta, è svelamento di autenticità scomode da scoprire. Il Teatro delle Albe si avvicina senza turbare il ricordo di un giusto dato in pasto alla prepotenza.


 “Mamma, indosso questa camicia bianca perché sono innocente”.

Visto al Teatro Pubblico di Casalecchio, il 4 marzo 2014


Angela Sciavilla

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