I atto: apparizione di Norma |
A questo punto avviene quella che, per me, ha sempre rappresentato la più difficoltosa operazione da compiere durante lo svolgimento di uno spettacolo: il rapidissimo cambio d’abito. In questo caso, a cavallo tra la fine della seconda scena e l’inizio della terza del primo atto (circa due minuti in totale), occorre che abbandoni – letteralmente – i panni da soldato romano per vestire quelli da Gallo servitore e accompagnatore della sacerdotessa Norma. La trasformazione comporta una sostituzione di corazza (da quella possente e ben stringata di colore nero a una più leggera e anatomica dalle tinte bronzee) e di acconciatura (dal semplice elmo alla parrucca ricca di piccole trecce variopinte). Posso confessare senza indugio che, in tutte le date di recita, questo momento è stato sempre quello più arduo e affannoso: fortunatamente l’esperienza decennale posta sulle mie spalle, contornata di vere e proprie peripezie logistiche all’interno delle coreografie, mi ha avvantaggiato – soprattutto – nel controllo dell’ansia, dettata dal limitatissimo lasso di tempo disponibile.
L’orchestra consacra con una melodia solenne l’ingresso in scena della protagonista, accolta dal popolo gremito di sacerdotesse, druidi e vestali della Gallia. Tutto il boccascena si tinge del bianco delle loro vesti, magistralmente rese luminescenti dalle luci pallide poste all’altezza delle quinte centrali: quest’imperturbabile purezza viene – in un certo qual modo – macchiata solo dal viola e l’oro dell’abito di Norma e dalle tonalità calde delle armature e parrucche di noi figuranti. La sola mansione di accompagnatori della druidessa non è sufficiente a dare corpo al genio creativo del regista toscano: difatti, esattamente prima d’intonare l’appassionante assolo della quarta scena, Norma assopisce con un incantesimo i giovani e aitanti guerrieri suoi portantini. Il sonno incantato svanisce lentamente allo squillare delle trombe, permettendo una piccola posa coordinata in sincrono con alcuni componenti del coro: si tratta di un’ennesima citazione artistica, in particolar modo scultorea, vale a dire la celeberrima Pietà michelangiolesca. Una volta risvegliatisi completamente, i soldati Galli riconducono il carro della sacerdotessa verso il fondale della scena, seguiti – come in processione – da tutti gli altri personaggi: le capacità interpretative degli attori sono rese manifeste anche in questa sortita, giacché è doveroso simulare l’azione faticosissima di trascinamento, sebbene sia compiuta in realtà da un tirante elettronico nascosto al di sotto del palcoscenico.
La presenza di figuranti s’interrompe per tutta la restante parte del primo atto, fino a quando, precisamente all’inizio della seconda scena del secondo atto, il coro dei druidi canta della guerra tra Romani e Galli, che sta tormentando la loro terra natia. Federico Tiezzi, consapevole dell’ingente abominio che scatenerebbe la rappresentazione di un tumulto sanguinoso, riesce, attraverso tre scappatoie teatrali efficacissime quanto longeve, a sublimare la drammaticità dell’evento nefasto: in primo luogo fa calare, in direzione della penultima quinta, un fondale bianco di tulle trasparentissimo; lo illumina di taglio con luci poste a creare un effetto da teatro delle ombre cinesi e, soprattutto, impone ai figuranti di simulare una veemente battaglia in modalità estremamente rallentata. Con la dipartita di Oroveso (entrato in scena poco dopo le prime battute del coro) e dei sacerdoti cala uno dei bellissimi sipari di Mario Schifano e i mimi, fino a pochi istanti prima nemici assettati di giustizia e vendetta, ritornano a essere i compagni d’avventura di questa spettacolare messinscena dell’opera belliniana.
A questo punto, il diario di bordo della mia esperienza da figurante può annoverare un ultimo ingresso in scena, che forse si potrebbe considerare il più eclatante e anche il più espressivo.
foto di Rocco Casluci |
Marco Argentina
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