Nel pieno rispetto della poetica di Werner Schwab, Le presidentesse e il loro microcosmo saturo di ipocrisia, ignoranza e falso moralismo è già davanti ai nostri occhi, non ha bisogno di rivelarsi: c’è. È un corpo unico ammassato davanti alla televisione. Senza capo né coda, senza cervello né anima, è li. Si muove senza fretta: aspetta che noi spettatori ci siamo accomodati per prendere vita, per prendere respiro. Lentamente, ansimante, l’ammasso prende vita e accende il televisore. Il corpo unico si articola in tre donne: Erna, Grete e Maria. Lo squallido spazio esistenziale nel quale le tre vivono non ha bisogno di altro arredo se non di un gabinetto e di un tavolino sul quale appoggiare l’unico loro oggetto di interesse: la televisione.
foto Chiara Ferrinfoto di Chiara Ferrin |
Tutto claustrofobicamente chiuso
attorno alla televisione: lo spazio non ha vita se non all’estremità della
scena, e il grigiore dello schermo illumina i volti inceronati; Erna ha un
berretto di forma fallica in testa mentre dà libero sfogo alle sue prosopopee
moraliste, bigotte, sessualmente frustrate, seduta sul gabinetto. Grete è ossessivamente
legata alla sua borsetta, la stringe al ventre mentre cerca di zittire i suoi
appetiti carnali, le tragiche crepe della routine quotidiana, attenta ad ogni
movimento di Erna perché possa riuscire a rubarle il posto a sedere. Maria sbuca
da sotto il tavolo, conquisterà il trono nella seconda parte dello spettacolo;
non ha averi, non ha orpelli, non ha disgrazie di cui lamentarsi beatamente:
lei è ben contenta di galleggiare nella merda. Nel silenzio totale, la
posizione dei corpi e l’uso dello spazio raccontano di un mondo chiuso e
bigotto, di desideri lasciati a marcire zittiti dalle urla del moralismo, del
precetto cristiano, del buoncostume ma anche di perversioni vissute
nell’ipocrisia del chiuso domestico e di mani sporche di merda e fedeltà
candidamente esibite da anime pure legate ai voti della fede.
Tutta la prima
parte gioca sapientemente con la posizione dei personaggi: movimenti continui
che danno vita al corpo unico, lo esibiscono a poco a poco frammentandolo nelle
psicologie malate delle tre singole donne fino ad arrivare alla scoperta delle
loro ferite, delle loro miserie: figli che odiano l’immagine di se stessi,
affogati nell’alcol e nella violenza domestica si negano alla società della
divina provvidenza. Si sottraggono alle norme del vivere sociale, alla quiete
familiare, alla riproduzione mentre le madri, accorte, impegnano le loro
giornate a litigare per il primato delle superstizioni: chi si vota anima e
corpo alla religione, chi alla tuttologia medica. Con un misto di panico e
rabbia osservano il mondo cadere sempre più in basso, dall’orlo del baratro lo
vedono scivolare senza altro sforzo se non quello di ricordargli, di tanto in
tanto, di non avvicinarsi troppo alla merda. Maria è al di sopra: lei non si
lamenta, lei seda gli animi e si sporca le mani perché così vuole la
provvidenza. La piccola Maria è amata perché servile, docile, forte, vocata in
tutto e per tutto all’aiuto del prossimo: stura i cessi senza i guanti perché
anche la merda è opera del creatore.
Nella seconda parte, la festa conclusiva
di Bulgakoviana memoria
è tutto un rincorrersi di voci attorno ad un quadro fin troppo statico, così
che il lavoro sul personaggio, punto di riflessione importante per la compagnia
Nerval Teatro,
perde la sua iniziale incisività: tre microfoni per tre racconti e il trono
finalmente occupato dalla pura Maria. Le madri gozzovigliano accecate dalle
loro ossessioni, asfissiate dalla totale mancanza di libertà d’azione: Grete
chiede continuamente a Lydia cosa fare dell’aitante e virile corteggiatore, Erna
si prepara alla sua vita da salumiera accanto al vate Wojtyła e Maria rende
felice l’umanità correndo da un bagno all’altro. Finché l’incanto non si
strappa, il demonio non decide che la festa deve terminare e allora la società
si pulisce il viso dai bagordi e dalle oscurità del pensiero: la merda torna
tutta a galla nella soave voce di Maria e il moralismo borghese non ce la fa a
resistere, e alla fine anche questa Pasqua è onorata, anche stavolta
l’innocente è sgozzato.
Nerval Teatro – Le presidentesse
Visto a: Trasparenze – Atelier della scena contemporanea
(Modena) presso lo spazio TIR danza il 5 ottobre 2013
Elvira Scorza
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