Un padre e un figlio si raccontano. Gli episodi più salienti delle loro vite squarciano il silenzio della sala InterAction, attraverso il rimbombo di voci fuori campo. Di primo acchito un’impeccabile calendarizzazione di biografie ignote e apparentemente insignificanti, si penserebbe. Ma poi la comparsa di Stefano d’Anna tradisce il pregiudizio del pubblico: il buon marchigiano valica il confine della finzionalità del teatro per dialogare con gli astanti, seduti persino ai suoi piedi, mimando, con la tecnica del più acerbo tra gli attori, i tratti distintivi della sua esistenza umile, pragmatica, ordinaria. Sulle note di una celebre canzone del compianto Jimmy Fontana, la sua mano comincia a tremare: forse l’emozione da principiante, forse l’intensa carica emotiva, forse un misterioso segreto non ancora confessato.
Foto di Cinzia Camela |
È la volta del giovane – ma non troppo – figlio, Giulio, che
irrompe sul palcoscenico per narrare la sua storia: uno spassoso viaggio introdotto
da una latente omosessualità adolescenziale, degenerato poi in scelte
universitarie forzate e, fortunatamente, terminato con una carriera
professionale all’estero orgogliosamente rivendicata.
Le vicende dei due uomini cominciano a intrecciarsi, aggrovigliando
i loro corpi in un gioco di movenze speculari, piccole gag, tentativi di tenera
danza contact, duramente troncata dall’inevitabile conflitto generazionale
sciorinato in un scontro eccessivamente manesco e volgare, nostalgico di quella
cinematografia italiana di genere firmata Bud Spencer e Terence Hill.
Eppure, due piccole ma evidenti strisce adesive glitterate vengono
applicate sui pantaloncini e ridonano il sorriso tanto ai performer, emulatori
di soubrettes plastificate, quanto ai fedeli partecipanti seduti in platea,
spettatori di un focolare domestico lentamente consumato dal terribile morbo di
Parkinson.
Foto di Cinzia Camela |
Giulio, guerriero di mille battaglie personali, si scopre
inerme di fronte alla furia di questo male inguaribile e degenerativo: la sua
danza si deforma; vaga alla ricerca di un equilibrio alternando cadute
improvvise verso il terreno a molleggiati salti nel vuoto; si pietrifica in
posizioni amorfe abbandonate ad una completa rassegnazione.
Ma la resa non è il suo destino ed è proprio lo stop! ammonitore
di Stefano a ricordarglielo: l’amore filiale non può rendere Giulio vittima di
un dolore che non gli appartiene.
E così, come in un finale da favola, in cui i protagonisti
si avviano a vivere felici e contenti, i due eroi di questa temeraria lotta contro
le difficoltà umane fantasticano di un avvenire radioso, sullo sfondo di un
collage di scatti di vita felice.
Foto di Cinzia Camela |
Visto a: Arena del Sole – Sala InterAction
Data: 28 ottobre 2013
Marco Argentina
Sembra di assistere allo spettacolo. Ottima la scrittura di Argentina, passionale ed attenta, meticolosa nelle descrizioni. invoglia a vedere questa performance, sia per i temi che per le modalità con cui sono affrontati. Grazie.
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