Con la rossiniana L’Italiana in Algeri l’ente lirico comunale bolognese vince un grandioso terno al lotto. Anche all’ultima replica, il 19 maggio 2012, platea, palchi e loggione sono gremiti. Dopo un addolorato, quanto debito ricordo di Melissa, la fanciulla vittima dello spaventoso attentato esplosivo avvenuto dinnanzi al liceo professionale Morvillo - Falcone di Brindisi a cui ha fatto seguito un lungo e commosso minuto di silenzio, la gentil opera di Rossini ha preso il la.
Teoricamente la bellezza di questo dramma giocoso in due atti su libretto di Angelo Anelli, rappresentato la prima volta a Venezia nel maggio del 1813, si dipana sinuosa già dalla scintillante e notissima ouverture in un cosmo splendente di arie, cavatine, duetti e terzetti singolarissimi nei temi ma soprattutto negli ironici doppi sensi. L’orchestrazione, affabilmente orientaleggiante nei fiati e nelle percussioni, ricompone le fila del fare occidentale con un gioco tipicamente settecentesco d’archi, incisivi anche quando lievemente patetici. Il cembalo si diletta nell’accompagnare i recitativi secchi, questi ultimi, ponti argutissimi di congiunzione tra uno sberleffo e un momento semiserio. Codesto lavoro di Rossini, e lo si comprende già da queste poche annotazioni tecniche, val di per sé un ovazione. Se però questi intelligenti schemi ed orientamenti musicali vengono accompagnati, come in questo caso, da ottimi interpreti di solida formazione nel repertorio rossiniano, “strampalati” riuscitissimi movimenti di scena (figli di un attenta e consapevole regia) e mirabili costumi, scenografie e luci, ebbene, si potrà dire che si è assistito ad una straordinaria opera nell’opera.
Il
pubblico ha goduto nel lasciarsi deliziare dal tenore d’origine cinese Yijie
Shi nel ruolo dell’italiano Lindoro- prigioniero e schiavo del Bey d’Algeri -.
Questi ha dato sfoggio di una vocalità controllata e limpida - quasi fosse
quella di un adolescente dalla voce bianca - e di una perfetta dizione
protrattasi e negli acuti e nei sapienti sottovoce. Una voce maschile la sua
vellutata e giovanile perfettamente aderente al ruolo del giovane innamorato
che deve ammaliare cantando la nota, attesissima cavatina“Languir per una bella”.
Francesco
Esposito (che ha alle spalle una solida formazione registica al fianco di pezzi
da novanta come Ronconi, Lavia e Fo) ha curato, oltre all’eccellente regia
sempre in bilico tra divertissement e
ossequioso rispetto delle fonti storiche in merito a proprietà occidentali
dell’opera e turcherie di maniera, anche i costumi. Le fogge simmetriche e
lievi di abiti e copri capi, fulgidi di colori pastello e diamante,
richiamavano alla mente le atmosfere orientaleggianti di alcuni personaggi
dell’Aladdin di Disney: per fare un
puntuale esempio le fasce al seno e i pantaloni alla turca, di color turchese
con applicazioni in oro, indossati dalle due valenti danzatrici del ventre -
che riempivano con la loro bella e importante presenza la scena in molti
passaggi di entrambi gli atti - assomigliavano molto agli abiti della bella
principessa Jasmine, protagonista femminile della pellicola.
Non
meno degni di plauso i sofisticati giochi di luce curati da Andrea Oliva. Sulle
luci primarie del proscenio, a cui è dato il chiaro compito di connotare
psicologicamente la scena - splendida l’idea del blu cobalto a cui si
amalgamano mille bolle di sapone soffiate dagli eunuchi per la scena della
preparazione di Isabella all’interno del bagno turco, mentre ella canta Per colui che adoro - si assommano gli iridescenti
colori di un cielo baluginante che impreziosisce il fondo scena.
Il pubblico impazzisce di soddisfazione sovente, e lo da a sentire; accade con gli scroscianti applausi alla stretta finale del primo atto “Va sossopra il mio cervello” in essa gli eccentrici suoni onomatopeici (ta ta, cra cra, bum bum, din din) ripetuti, nel cantato, a elevatissima velocità formano un magma sonoro di sorprendente difficoltà tecnica, gli interpreti però gestiscono un tale frastuono rossiniano delle voci - in cui si dee perdere la percezione dei singoli versi -accentuando e dunque facendo restare vivi e chiaramente percepibili gli allegri suoni onomatopeici.
Questa meticolosità ci piace! Il tutto, poi, è guarnito da una piccola battaglia pugnata a suon di candida biancheria intima da uomo e donna che i personaggi si lanciano infantilmente tra loro. O ancora l’ovazione meritatissima, al quartetto di chiusura della scena quinta del primo atto “Sento un fremito un fuoco un dispetto” in cui alle buffe movenze dispettose e irriverenti dei tre stranieri -Isabella, Taddeo e Lindoro - si contrappone la voce grossa e il piglio comandino di un Mustafà che però appare, in definitiva, più rassomigliante ad un innocuo burbero papà che ad un Bey vecchio stile. Ha proprio ragione Rossini, quando fa dir in conclusione d’opera a tutti i suoi personaggi (Isabella consapevole e compresa) “La bella Italiana venuta in Ageri, insegna agli amanti gelosi ed alteri che a tutti la Donna, se vuole, la fa.” mai verso risulta più appropriato.
Questa Italiana ha colto nel segno e ha rapito il cuore di tutti coloro che riempivano il golfo mistico. Oggi come ieri si conferma quale amabile e stuzzicante evergreen operistico dunque assolutamente degno del dvd che la Rai (dopo le riprese effettuate nei giorni scorsi) sembra intenzionata a confezionare.
Nessun commento:
Posta un commento