CAINO -TEATRO VALDOCA
Mercoledì 28 e Giovedì 29 marzo all’Arena del Sole hanno avuto luogo le ultime due repliche italiane di Caino. Tra gli ultimi nati in casa Valdoca, e con oltre due anni di gestazione, Caino vorrebbe raffigurare sottoforma di affresco onirico la dualità di un progenitore mitologico che non sentendosi amato, ma essendo egli stesso costituito da amore, si mostrifica.
Lo spettacolo risulta molto lungo, con una sproporzione temporale tra brevi momenti di intessissima emozione e consistenti parentesi di noia. Una scena luminosa piena di istallazioni suggestive è sovrappopolata da molteplici figure che agiscono in contemporanea in modo diverso dislocate punti differenti, constringendo così l’occhio dello spettatore a una fruizione parziale, a effettuare una sorta di scelta di “taglio” da seguire.
Il Coro nel testo di Mariangela Gualtieri è una figura molto interessante, che parla e interviene in modo frequente, nella rappresentazione si trasforma in presenza quasi muta e seminuda.
Una visibile analogia iconografica (e non solo) emerge in maniera molto forte in questo spettacolo: in scena ci sono due Voldemort, Danio Manfredini nei panni di Caino e Leonardo Delogu in quelli di Lucifero. Il paragone è evidente e sorge spontaneo, fattezze, movenze, costumi e caratterizzazione del personaggio sono simili tanto da sembrare citazione e non pura casualità. Lotta interiore tra bene e male, consapevole scelta del male come unica soluzione al bene negato, la seduzione di male luminoso e irradiante sono caratteristiche assolutamente comuni sia in questo spettacolo che nella saga della celebre J.K. Rowling.
Un testo meraviglioso in tutte le accezioni del termine, che rimane molto più interessante della sua rappresentazione.
THE END - BABILONIA TEATRI
The End, la fine con la lettera
maiuscola, la fine per eccellenza: la Morte. Di questo tratta l’ultimo
spettacolo di Babilonia Teatri.
Scena vuota, un Cristo in croce
smontabile smontato e un frigorifero. L’interprete entra sola in scena, e sola
pronuncia considerazioni sulla morte, unico comune e certo denominatore di ogni vita. I vari
testi che compongono lo spettacolo si collocano perfettamente all’interno
della poetica del gruppo dello Specchio Riflesso, che vede come unica
ragion d’essere del teatro l’essere specchio dei tempi che si vivono, il
mostrare le contraddizioni del mondo palesando le proprie domande senza pretesa
di risposta pseudo-oggettiva in un mix di toccante sincerità e cinismo. Un
testo crudo, a tratti ironico, portatore di infinite riflessioni espresse in
forma estremamente limpida e onesta. Idee e posizioni condivisibili o meno, ma
enunciate con una chiarezza estrema che non consente possibili cattive
interpretazioni. Una sorta di ode al Boia Personale, come garanzia di possibilità di scelta tra vita vissuta e vita subita, declamata a braccia aperte e mani stigmatizzate con alle spalle un enorme crocifisso suscita una sorta di confronto fra analogie e differenze con il Personal Jesus dei Depeche Mode.
Un frivolo hully gully ballato con estrema fluidità sulle note di Ciao amore ciao, canzone indissolubilmente legata alla morte “consapevole”, diventa un’immagine intrisa di suggestioni e significati, che seguito da un breve silenzio arresta per un attimo il flusso dello spettacolo e permette di prendere fiato.
In un sobrio minimalismo scenico lo spettacolo si chiude con un presepe macabro costituito da Cristo crocifisso tra due teste di bue e di asino mozzate, presepe che mantiene le figure della natività ma le traforma in icone mortifere.
ERETICI E CORSARI -NERI MACORÈ CALUDIO GIOÈ
Una scena portata ai minimi termini, un fondale grezzo stropicciato, quattro musicisti e due o tre luoghi deputati illuminabili all’occorrenza. Eretici e corsari, spettacolo prodotto dal Teatro dell’Archivolto in collaborazione con la Fondazione Gaber, scorre in 75 minuti la scena secondo un principio di ruvida fluidità. Ruvido è l’aggettivo che si addice di più a questo spettacolo. Ruvido è lo sfondo, di un tessuto tipo juta che viene evidenziato nelle sue larghe tessiture da luci radenti creando un arazzo tridimensionale di colore e ombre.
Ruvido è il testo, in parte letto espressivamente da Claudio Gioè e in parte cantato da Neri Marcorè. La drammaturgia si compone di stralci dell’ultima intervista, raccolta da Furio Colombo il 1° Novembre del 1975, a un Pierpaolo Pasolini ignaro della sua imminente fine fisica, e da brani di teatro canzone di Giorgio Gaber e Sandro Luporini reinterpretati da Neri Marcorè. Dalla commistione del sapere di questi due grandi artisti e pensatori ne fuoriesce un sottotesto che sottolinea l’inutilità dello sviluppo senza progresso, l’importanza del concetto di appartenenza e di partecipazione.
Il concreto rischio del prendere in mano materiali di personalità così particolari e così largamente conosciute senza farne una becera imitazione viene apprezzabilmente superato da Marcorè e da Gioè, che riescono sì a evocarne il ricordo in manierà toccante ma consapevole della distanza.
Ruvido è ciò che arriva al pubblico: il sentire parole e pensieri assolutamente riconducibili al contemporaneo ma con la consapevolezza che furono già detti nel passato, “come se fosse un grido in cerca di una bocca”.
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