L’Unità d’Italia sta producendo maggiore ricchezza per il nostro Paese oggi, nel suo centocinquantesimo anniversario, di quanta ne abbia portata ai fautori dalle sue camicie rosse.
Nascono come funghi manifestazioni, libri, film, spettacoli che ne ripercorrono le vicende storiche. Tra le diverse opere sul tema, prodotte di recente, anche Piazza d’Italia in scena presso l’Arena del Sole il 24 e 25 gennaio.
Marco Baliani, che ne firma la regia, è uno tra i maggiori esponenti e innovatori del teatro di narrazione. Qui ci propone un racconto corale, tratto dall’omonimo romanzo di Antonio Tabucchi, attraverso le voci di nove attori.
Lo spettacolo rievoca le vicende di una famiglia del centro Italia dai moti precedenti l’Unità al secondo dopoguerra. I personaggi si fanno portavoce di una storia condivisa dall’intero Paese intrecciando le proprie vicissitudini personali con i fatti storici. Come lo stesso Baliani afferma, l’opera mostra la “possibilità che la Storia grande possa sempre scompaginarsi per un gesto di rivolta, per un sogno, per un crocicchio inaspettato”.
Al centro della scena troneggia un cubo nero e rotante che diverrà casa, granaio, teatrino dei burattini. Il movimento circolare, che esso riproduce, ha lo stesso andamento della storia: si tratta di un continuo ritorno, di una circolarità in cui morti e nascite, amori e lotte, incontri e separazioni si susseguono.
Lo spettacolo però non riesce ad aggiungere molto alla conoscenza scolastica della storia d’Italia.
Baliani, nome tra i più attesi della stagione dell’Arena del Sole, delude le nostre aspettative. Il racconto appare un po’ troppo retorico e acritico nei confronti dei fatti storici che hanno portato alla nascita del nostro Paese. Il regista non offre la possibilità di comprendere più a fondo le dinamiche politiche e economiche, né di attribuire responsabilità, risolvendo la questione nella lotta tra forti e deboli.
Anna Parisi
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