Balza subito all’occhio la proposta di un Goldoni non
convenzionale, ambientato di fatto in un albergo anni Sessanta. Una parapettata
con porte numerate, lampade da muro, un ascensore e un televisore sul fondo sempre
acceso su programmi inglesi faranno da cornice alla celebre commedia che dal
suo primo debutto del 1745 ha acquisito non poche novità.
Merito (o colpa) anche del drammaturgo attore Ken Ponzio, il quale
sfida i puristi per tentare di smuovere le fila di un teatro italiano che, più
che stabile, sembra fossilizzato in un tempo non più attuale. A investire sul
progetto, tra l’altro, sono proprio i teatri stabili (Emilia Romagna Teatro
Fondazione, Fondazione Teatro Metastasio di Prato, Teatro Stabile del Veneto) che
condividono l’impresa della totale riscrittura
dell’opera; perseguire il dovere di parlare con la forza della tradizione
all’uomo per lanciarsi in avanti, nel tempo che verrà.
Il racconto è stato destrutturato tanto da non riconoscere
il testo originale. Le luci della ribalta presentano Brighella Cavicchio (Massimiliano
Speziani), vestito di tutto punto in frac, che sgambetta da una parte e l’altra
del palco, impegnato a rincorrere le due personalità che incarna: il
proprietario del lussuoso albergo che accoglie gli ospiti, e il narratore che
legge le didascalie del copione con voce amplificata dalla cornetta di un telefono,
preannunciando atti e azioni dei protagonisti. Questi parlano tutti in italiano
corrente, all’infuori di Pantalone che non abbandona il dialetto veneziano.
Indossano tailleur, gonne e scamiciati tranne Silvio Lombardi, pretendente
di Clarice, figlia di Pantalone De Bisognosi,
in parrucca e braghe settecentesche.
Le ambigue geometrie di relazioni intessute tra i
personaggi forniscono all’opera di Latella un mélange di commedia e dramma
borghese, di antico e quotidiano. Anche le relazioni sociali e identitarie sono
destinate ad essere modificate. Il rapporto servo-padrone che lega Arlecchino e
Beatrice diventa fraterno: egli diventa suo fratello, quel Federigo Rasponi che
si credeva morto, e il legame tra i due viene caricato di un’ambiguità
incestuosa insistente, marcata anche dagli indumenti maschili di
Beatrice, presenti già nel testo originale, ma ora ancor più accentuati.
Florindo entra in scena con la gonna e accompagnato da una musica pop
assordante. Smeraldina, la serva spensierata, è elevata a portavoce dei diritti
delle donne, Pantalone è il perfetto ritratto dell’uomo d’affari moderno. E poi
Arlecchino, sin da subito sdraiato morto e nascosto per metà dietro le quinte,
che nega se stesso (infatti si presenta come “Arlecchi-NO, Arlecchi-NO”), nega la
sua maschera, tanto da non indossarla neanche. Rinuncia al vestito a rombi
colorati per un bianco totale e cerca il suo vero volto: “Morire per non
morire, morire per mettere un punto e andare a capo” annuncia Latella in
un’intervista.
Dopo questo lungo preambolo, la seconda
parte dovrebbe mostrare il senso vero di tutta l'opera. Il regista e il drammaturgo svelano cuore e radici del dramma. La macchina scenica viene sventrata completamente; tutto viene smontato pezzo-pezzo, mentre vengono
trasmessi i rumori e i dialoghi delle prove, registrati e amplificati. In scena Arlecchino, Florindo e Beatrice, o
meglio, gli interpreti Roberto Latini, Marco Cacciola e Federica Fracassi. Lei
in preda a convulsioni frenetiche si spoglia delle vesti disperate, destinata allo smascheramento dal ruolo. Latini ripete con strazio crescente la Pantomima della
Mosca. E poi si invoca la Resurrezione biblica come auspicio vitale.
Il parere del pubblico si spacca in due, chi condanna e chi
osanna.
Di sicuro il Servo di Latella è stato
un pretesto per ragionare sulla teatralità, sul rapporto con la tradizione che viene messa in
discussione, decostruita e svelata lungo tutto lo spettacolo. Per progredire
bisogna osare. Non sempre è facile ammetterlo.
Visto all'Arena del Sole. Bologna, 16 gennaio 2013.
Visto all'Arena del Sole. Bologna, 16 gennaio 2013.
Angela Sciavilla
Complimenti per l'analisi direi perfetta di quest'opera! E grazie per aver chiarito alcuni passaggi non cosi' chiari
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